In Ottobre era poi seguito un secondo post sull'argomento che riprendeva da punto lasciato (anno citato poco sopra) fino ad arrivare alla data del 1960.
Oggi, come di certo avrete intuito, riprendo in mano il discorso con questo terzo post da dove avevo lasciato in precedenza, ovvero ripartendo dal teatro italiano a partire dalla data del 1960.
Prima però ricordo come sempre velocemente a chi legge che, per chi fosse interessato, tutti gli argomenti trattati fino ad ora si possono trovare nella colonna a fianco denominata "Etichette", alla voce "Teatro".
Riassumiamo un attimo quindi, quanto visto fino ad ora e lo possiamo fare attraverso un semplice ma efficace schema creato e fissato nei punti che seguono:
- Dalla fine dell'Ottocento arrivano i primi segnali di insofferenza nei confronti di un modo vecchio di Pensare e di Agire nel mondo culturale e artistico in generale.
- A partire dagli inizi del Novecento si tenta pertanto, di stravolgere e rinnovare il Teatro (ma anche tanti altri settori come ad esempio: la letteratura, l'arte, la musica ed altro ancora) grazie anche al lavoro impeccabile dei numerosi personaggi, citati e visti in precedenza, che hanno operato affinché il cambiamento potesse avvenire presto (sono stati segnalati nomi del calibro di Eleonora Duse; Luigi Pirandello; Marinetti; Silvio D'Amico e subito dopo, a partire dal 1936, invece, quelli di Sthreler e Grassi; Visconti; Zeffirelli; De Filippo e Totò).
E' un secolo, quello del '900 attraversato da guerre e rivoluzioni (Prima e Seconda Guerra Mondiale per esempio) e dove Sperimentazione, Estremismo e Dissacrazione diventano nuove parole d'ordine.
- Nascono i Teatri Stabili e le Accademie dove si tenta finalmente di dare un senso di fermezza e garanzia, anche economica, alle compagnie che tempo prima erano abbandonata a sé stesse, sempre in giro in lungo e in largo e se non a gestione familiare capitavano in mano di singoli impresari che il più delle volte se ne approfittavano.
Adesso anche la politica si interessa alle arti, sovvenzionando gli addetti ai lavori e le compagnie affinché si possa avere un ruolo educativo, pedagogico e sociale a proprio vantaggio.
- Nascono nuove figure, come ad esempio quella vista in precedenza del Regista, che porterà a sua volta alla nascita della Regia Critica (quella in cui il regista smonta il testo e lo analizza per rivisitarlo in maniera propria e più attuale, modernizzandolo così sulla scena). Si rinnova anche la figura dell'Attore, mezzo espressivo che il regista ha per portare in scena il testo.
Lo stile recitativo diviene ora più realistico e meno affettato rispetto a quello di un tempo.
Finito di illustrare i punti e i fatti più salienti dei due lunghi post precedenti (ovviamente se volete in qualche modo approfondire il discorso rifatevi a quei due post di settembre e ottobre) passiamo ora a parlare del Teatro in Italia a partire dal 1960 in poi, esattamente quindi da dove lo avevamo lasciato in precedenza.
Il
teatro degli anni ’60 si scopre molto più politico di quello che
non si pensava fino a poco tempo prima e diede inoltre spazio e occasione di
visibilità a personaggi che avrebbero tenuto in mano le redini dello spettacolo
fino alla fine degli anni ’80.
Per
quanto riguarda il modo di governare il teatro di questi anni possiamo dire che
esso era sovvenzionato da circolari ministeriali che, soprattutto per i
Teatri Stabili, servivano a garantire annualmente i soggetti e le
condizioni per usufruire dei contributi statali.Gli anni ’60 sono noti (soprattutto la data simbolo del 1968) per essere anni di combattimenti e di rinnovamenti nei settori più svariati (non esistevano solo le rivoluzioni studentesche, le lotte operaie o il femminismo ma alle spalle vi si incrociavano politiche e situazioni sociali ben più ampie e complesse) e pertanto, anche il teatro, sull’onda del momento storico, ha avuto le sue rivoluzioni innovative.
Adesso infatti la scena teatrale si vuole al servizio dei cittadini e viene chiesto a chi lavora in scena di “alzare la testa”, ovvero di far uscire il teatro dal teatro stesso e portarlo oltre, fuori dai soliti contesti, di modo che arrivasse anche alla gente comune e la portasse a riflettere.
Il Teatro abbandonava così i classici luoghi convenzionali, le classiche tavole del palcoscenico dei grandi o piccoli teatri e scendeva ora anche nelle piazze e per le strade, nei magazzini, nelle case (esempio unico su tutti il Living Theatre, di Julian Beck e Judith Malina, che proprio in un appartamento di una palazzina in America, avevano iniziato a muovere i primi passi del loro teatro fino ad arrivare poi ad essere conosciuti in tutto il resto del mondo. Su Beck ho scritto in passato la sua biografia, la trovate come sempre a fianco nel campo etichette se la cercate per qualche approfondimento) nelle cantine e in tutti quei luoghi o non luoghi che si volevano al fianco della gente comune.
Autore e attore di straordinario talento, Dario Fo, ha iniziato a lavorare in teatro fin dagli anni ’50, sviluppando una propria attenzione particolare nei confronti della satira politica dai toni farseschi che viene poi trasmesso al pubblico per le strade in spettacoli come ad esempio “Aveva due pistole dagli occhi bianchi e neri” (1960).
La satira di Fo prendeva di mira il capitalismo e i vari partiti politici (ad esempio quello comunista italiano) oltre che la chiesa ed altre istituzioni accusate di svolgere azioni conservatrici.
Diciamo quindi che nelle commedie di Fo e Rame appare una vena etica, una sorta di “accuse” che coinvolge l’intero sistema politico e sociale e che si esprime attraverso il gioco dell’ironia e dei travestimenti.
Questo strano tipo di successo, avuto scendendo in mezzo al pubblico, ha portato Fo alla televisione di Stato nel 1962 per un edizione di “Canzonissima” presto però interrotta a causa di una sgradita allusione alle morti del mondo del lavoro.
Indubbiamente tra gli spettacoli più noti di Fo vi è quello intitolato “Mistero Buffo”, del 1969, spettacolo tra i più replicati in Italia che ha concesso fama al duo anche a livello extra-europeo.
Seguono poi opere come “Tutti uniti ! Tutti insieme ! Ma scusa quello non è il padrone ?” (1971), “Morte accidentale di un anarchico” (1970) o “Il Fanfani rapito” (1975).
Dario Fo è una sorta di clown dissacratore che prende in giro il potere e il sistema.
Questa sua dissacralità però è un arma a doppio taglio che porta da una parte Fo lontano dalle televisioni e dalle scene italiane, censurato e criticato, durante tutti gli anni ’70 e ’80, ma che fa sì allo stesso tempo che lo stesso attore venga premiato da luoghi lontani e che riceva addirittura il premio Nobel per la Letteratura.
Se Dario Fo e Franca Rame sono stati i rappresentanti primari delle scene italiane ed europee, altro personaggio che merita di essere citato, soprattutto per quanto riguarda il campo della Regia è quello di Luca Ronconi.
Allievo dell’Accademia d’Arte Drammatica di Silvio D’Amico, dal carattere schivo e profondo, fin dal 1966, Ronconi, rinuncia a salire sulla ribalta per dirigere gli attori dall’alto ma preferisce una prospettiva panoramica più ampia attraverso un ribaltamento dei testi.
La
scena con Ronconi rivendica il diritto a proporsi come luogo di studio e
riflessione sul rapporto Testo/Spazio.
La
fama internazionale del regista è arrivata nel 1969 con la messa in scena dell’Orlando
Furioso, rappresentato per la prima volta a Spoleto, poi a
Belgrado, Milano, Parigi, New York e in molte altre capitali mondiali.
Nel
suo allestimento personale dell’opera Ariostesca, Ronconi, combinava aspetti
del teatro ambientale con elementi tipicamente medievali. Gli avvenimenti
venivano recitati simultaneamente in diverse zone dello spazio teatrale. Lo
spettacolo era stato pensato e progettato per un largo spazio all’aperto di 40
metri di lunghezza per 14 di larghezza, con un palcoscenico situato su ciascuna
estremità. L’area compresa tra i palchi era occupata sia dalle piattaforme
mobile che dagli spettatori che muovendosi liberamente potevano scegliere cosa
vedere.Dal 1976 al 1978, Ronconi, ha diretto il Laboratorio teatrale di Prato per passare poi alla direzione del Teatro Stabile di Torino.
Diciamo che Ronconi, sia come regista che come persona, ha compreso a pieno gli anni rivoluzionari in cui ha vissuto, dal ’60 in poi (Ronconi è nato nel 1933 e quindi in quegli anni era giovane e sensibile a ciò che lo circondava), facendo usi innovativi degli spazi e dei testi che andava a rappresentare.
Al
fianco di Ronconi, altra figura che è stata una vera e propria rivoluzione del
settore è indubbiamente quella di Carmelo
Bene.
Ora
scrivere di Carmelo Bene è molto più complesso (almeno per quanto mi riguarda) perché
la sua lunga vita artistica e la sua genialità ribelle sono difficili da
riassumere in un singolo post su un blog che deve racchiuderne in poche righe
il suo estro e il suo grande talento. Ad ogni modo tenterò di farlo e chiedo
fin da subito scusa se ne uscirà qualcosa di riduttivo.
Carmelo
Pompilio Realino Antonio Bene, semplicemente noto come Carmelo Bene, nasce a Campi Salentina, provincia di Lecce,
nel settembre del 1937, ed è stato attore, drammaturgo, regista, scrittore e
poeta.
La
sua figura è stata per il teatro italiano una tra le più grandi e famose dell’avanguardia italiana che gli ha
permesso di essere apprezzato e compreso forse più all’estero che non nella sua
stessa nazione di origine.
A
diciassette anni, dopo aver compiuto il liceo classico presso il Collegio dei
Padri Gesuiti di Lecce (l’avversione di Bene nei confronti della religione
nasce quindi a causa della madre fervente cattolica e a causa degli studi
frequentati) lascia la sua città natale per trasferirsi a Roma dove si iscrive
prima alla Facoltà di Giurisprudenza (che non frequenterà mai), poi
all’Accademia Sharoff ed infine, nel 1957, all’Accademia Nazionale d’Arte
Drammatica Silvio D’Amico dove però frequenta i corsi solo per un anno in
quanto non trova il giusto feeling con gli insegnanti e reputa i corsi noiosi
ed inutili.
Il
suo esordio come attore avviene nel 1959 con l’interpretazione di Caligola
dello scrittore Albert Camus e da allora in poi verrà spinto sempre più nel campo
della sperimentazione teatrale e artistica con tutta una serie di spettacoli
allestiti nelle cantine romane (ricordate la rottura dei luoghi-non luoghi
convenzionali di cui poco sopra scrivevamo) dove tra i più noti ritroviamo “Spettacolo
Majakovskij” (1960) e “Salomè” di Wilde (1964).
Per
far dispetto alla propria famiglia torna a Campi Salentina, suo paese di
origine, e sposa, nel 1960, una attrice fiorentina, Giuliana Rossi, di sei anni
più grande di lui e non ben vista dalla famiglia di Bene. Con lei avrà un
figlio maschio, Alessandro, morto in giovane età a causa di una malattia.
Trasferitosi
a Firenze, Bene, si dedica principalmente alla letteratura e dopo aver letto
l’opera di James Joyce intitolata “L’Ulisse”, rimane affascinato
talmente tanto da ripensare al suo modo di vivere e al suo modo di produzione
artistica.
L’opera di Joyce lo sconvolge così tanto che Bene lascia Firenze ed inizia un periodo di vagabondaggio per l’Italia soffermandosi poi per breve periodo a Genova dove conosce e lega amicizia con Silvano Bussotti che cura le musiche dello “Spettacolo – concerto Majakovskij”.Tra il 1961 e il 1962, Bene, realizza il primo “Amleto” e in seguito anche “Pinocchio” e costituisce il suo “Teatro Laboratorio” a Roma dove si allestiscono spettacoli di Cabaret dai titoli significativi, come ad esempio “Addio Porco”, una sorta di happening farsesco nei confronti della gente snob che andava a teatro, o ancora lo spettacolo “Cristo ‘63” che viene censurato scatenando scandalo e tafferugli con la polizia.
Il Teatro Laboratorio viene fatto presto chiudere in seguito ad una azione poco gradita da parte di Bene nei confronti della platea e dell’ambasciatore argentino.
Nel 1963, Bene, stringe amicizia con gli attori del Living Theatre che si trovavano in giro per l’Italia, anche loro destando non pochi scandali con le loro messe in scena.
Lo stesso anno conosce, frequenta ed instaura una relazione amorosa con l’attrice Lydia Mancinelli con cui recita “La storia di Sawney Bean”.
Dopo la chiusura ed il sequestro del Teatro Laboratorio, trascorrono 6 mesi affinché Bene torni in teatro con l’allestimento del “Divino Amore”.
Tra il 1965 e il 1966, Bene, scrive romanzi di grande risonanza quali “Nostra Signora dei Turchi” e “Credito Italiano” che verranno poi riportati in teatro e apprezzati da intellettuali e critici quali Ennio Flaiano.
Nel 1967 inizia la sua esperienza cinematografica (esperienza che dura fino al 1973 circa), dove viene coinvolto come regista in rielaborazioni di testi classici revisionati alla sua maniera anticonformista, e dove arriva addirittura, l’anno successivo, a vincere il Leone D’Argento al Festival di Venezia con il suo capolavoro (prima letterario poi trasposto su pellicola cinematografica) “Nostra Signora dei Turchi”.
Seguono una serie di lungometraggi, come ad esempio: Capricci (1969); Don Giovanni (1970); Salomè (1972); ed infine Un Amleto di meno.
Dal 1973, Carmelo Bene, torna in teatro dove ottiene un successo dopo l’altro fino ad arrivare alla metà degli anni '80.
Nel 1988 viene nominato (con sorpresa di tutti) direttore artistico della sezione teatro della Biennale di Venezia dove però si finisce in una serie di querele per una intricata storia di appropriazione indebita di opere d’arte.
Nel 1992, Bene, si risposa con l’attrice Raffaella Baracchi e gira per i teatri italiani con opere teatrali di grande importanza.
Gli
anni ’60 in un certo senso hanno risvegliato le coscienze collettive
grazie anche ai numerosi eventi-scandalo che sono stati portati sulle tavole
sceniche da quegli stessi personaggi coraggiosi sopra visti che hanno rotto con
la tradizione in nome della modernità.
Carmelo Bene muore a Roma nel 2002 ma non si capisce bene di quale malattia (visto che la sorella aveva dichiarato alle televisioni che suo fratello era sano).
La figura di Carmelo Bene è da come si sarà intuito leggendo (seppur in poche righe) molto controversa e spesso al centro di numerose e clamorose polemiche che hanno diviso pubblico e critica, ammiratori e detrattori.
Non si può però di certo negare che Bene è stato uno dei più grandi attori teatrali della seconda metà del Novecento.
Definito come “massacratore di testi”, Bene si è sempre schierato contro un tipo di teatro che richiamava drammaturgie in certi modi borghesi.
Egli rivalutava i testi a suo modo ponendo loro una interpretazione propria attoriale che non fosse necessariamente il punto di vista dello scrittore dell’opera.
Bene, si definiva contro il Teatro di Testo a favore di un Teatro del Fare, di un Teatro che vivesse il momento magico del “qui ed ora” (hic et nunc) del palcoscenico.
Tutto ruota intorno all’attore quindi e non al testo; l’attore è il solo vero artefice di ciò che trasmette sulla scena e per farlo deve distruggere il proprio Io e immedesimarsi totalmente nel proprio ruolo.
Bene è stato definito dai critici come “Attore Artiflex”, cioè come attore artefice di tutto e che veniva a scontrarsi con l’immagine precedente di attori di inizi Novecento che si facevano manovrare invece dalla figura del regista. Molte delle sue opere letterarie si ritrovano raccolte in un volume unico dal titolo “Opere con l’Autografia di un ritratto” (collana Bompiani) e portano il messaggio artistico di Bene ancora oggi a chi vuol prendersi la briga di leggerlo.
Per concludere il discorso sul teatro italiano contemporaneo, nel periodo che va dal 1960 al 1980, possiamo dire che la parola chiave del periodo oltre a "Politica" e "Contestazione" era quella che spesso nei secoli studiati fino ad ora ritorna puntuale, ovvero "Sperimentazione". Ogni epoca e ogni periodo storico ha infatti avuto le proprie rivoluzioni, piccole o grandi che fossero, che hanno portato alla voglia di creare attraverso la sperimentazione materiale e idee nuovi.
La sperimentazione degli anni '60 ha quindi conosciuto in Italia una notevole fama grazie ai personaggi visti poco sopra e a centinaia di altri che sarebbe giusto elencare ma che per mancanza di tempo e spazio non mi è possibile farlo in un singolo post (ora giusto per citarne qualcuno basta pensare ai nomi di: Carlo Quartucci; Memé Perlini; Leo De Bernadinis; Vittorio Gassman e tanti altri ancora).
Ora,
prima di chiudere in maniera definitiva, voglio solo avvisare che, man mano che
andavo scrivendo il post e raccogliendo
materiale, mi sono resa conto che ancora ci sarebbe spazio per un ultimo post
futuro sulla storia del teatro moderno e contemporaneo in Italia e che vede un
periodo di tempo che va dai mitici anni ’80 fino agli inizi del 2000 circa.
Così
pensando e ripensando sono arrivata alla conclusione finale che occorrerà
prossimamente (spero di riuscire a farcela per Gennaio) scrivere anche di
quest’ultimo periodo artistico e teatrale in modo da completare questo ciclo di
appunti iniziato pochi mesi fa.
Alla prossima allora e buon proseguimento di giornata.
Alla prossima allora e buon proseguimento di giornata.
FONTI E IMMAGINI:
R. Alonge, Il Teatro dei Registi, Edizioni Laterza, Bari, 2006.
O.G. Brockett, Manuale di Storia del Teatro e dello spettacolo vol.II, edizioni Marsilio 1999.
Appunti tratti dalle lezioni del professor Guccini di Storia del Teatro e dello Spettacolo I, anno accademico 1999-2000, università degli studi di Bologna.
Appunti tratti dalle lezioni del professor Gozzi di Metodologia e critica dello spettacolo, anno accademico 2001-2002, università degli studi di Bologna.
R. Alonge, Il Teatro dei Registi, Edizioni Laterza, Bari, 2006.
O.G. Brockett, Manuale di Storia del Teatro e dello spettacolo vol.II, edizioni Marsilio 1999.
Appunti tratti dalle lezioni del professor Guccini di Storia del Teatro e dello Spettacolo I, anno accademico 1999-2000, università degli studi di Bologna.
Appunti tratti dalle lezioni del professor Gozzi di Metodologia e critica dello spettacolo, anno accademico 2001-2002, università degli studi di Bologna.
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