Se dalla fine dell'Ottocento arrivano i primi segnali di insofferenza nei confronti di un modo vecchio di pensare e di agire nei vari campi artistici, adesso invece, con gli inizi del Novecento, il teatro si vuole nuovo ed agisce (grazie anche ai numerosi personaggi di cui abbiamo descritto in precedenza, come ad esempio Eleonora Duse e Luigi Pirandello) affinché questo cambiamento avvenga presto.
Nel teatro del nuovo secolo si sono viste: la nascita di nuove figure artistiche e culturali (come quella del regista); la ricerca di nuovi spazi drammaturgici; lo stravolgere e il rinnovare la drammaturgia dei testi (ad esempio Pirandello e il suo Metateatro); nuovi ruoli e nuovo agire dell'attore sul palcoscenico; nuove filosofie generali applicate poi ad un contesto che si è pian piano delineato sempre più nel tempo.
E' un secolo, quello del Novecento, attraversato da guerre e rivoluzioni che hanno segnato non solo il mondo in generale ma anche le arti e tutto ciò che lo circondava e per tale ragione, gli uomini e le donne che hanno agito in questo periodo si sentirono in dovere di riformare e trasformare tutto quello che passava loro sotto mano.
Sperimentazione, Estremismo e Dissacrazione sono ora le nuove parole d'ordine.
Muoiono le vecchie compagnie del capocomicato, quelle costruite da famiglie, e nascono figure professionali diverse oltre che teatri liberi e sovvenzionati dallo Stato (quindi anche la politica inizia a giocare un ruolo differente all'interno del mondo culturale teatrale; ricordate nel post precedente la figura di Silvio D'Amico e la sua Accademia d'Arte Drammatica nella capitale italiana ? quello è uno dei tanti esempi in tal senso).
Dopo il breve riassunto introduttivo veniamo ora al Teatro Italiano a partire dal 1936.
Ricordo prima però velocemente, come già fatto nel post precedente, che si prende in esame al momento solo il teatro di casa nostra perché ampliare il discorso anche al resto del mondo diventerebbe lungo e complesso; ciò non significa però che non vengano, seppur sinteticamente, fatti dei brevi confronti o citati degli altri personaggi del resto d'Europa in quanto è anche da lì che arrivano gli influssi del nuovo pensare e del nuovo agire nel settore.
Dal 1936 in poi, scomparse le compagnie che si concentravano solo intorno alla figura del primo attore, si affermarono nuove formazioni che presentavano un repertorio più ristretto (due o tre opere per stagione) dedicando stavolta più attenzione alla qualità del testo e delle produzioni che al suo modo di trasporle sulla scena.
Il discorso viene approfondito e chiarito meglio nel secondo volume del manuale di Storia del Teatro, scritto da Oscar G. Brockett, dove a pagina 606 si legge:
Il complesso dell'attività teatrale continuò a rimanere nelle mani delle compagnie di giro, ma già nell'immediato dopoguerra si costruirono i primi teatri stabili a carattere comunale o regionale, che ottennero particolari sovvenzioni dallo Stato, dal comune, dalla provincia, dalla regione e dagli enti pubblici.
Il più importante di questi gruppi stabili fu Il Piccolo Teatro di Milano, fondato nel 1947 da Giorgio Strehler e Paolo Grassi.
Iniziamo quindi da qui, dalla nascita dei Teatri Stabili e diamo una prima rapida occhiata a questo tema.I Teatri Stabili nascono con la fine della seconda guerra mondiale, quando nel panorama teatrale e letterario nazionale, gli addetti ai lavori, operano affinché lo Stato sostenga il ruolo sociale, educativo e pedagogico del teatro.
La storia degli Stabili si costituisce di due momenti importanti: il primo, che va dal 1946 al 1966 e vede la loro nascita; il secondo periodo, dal 1967 al 1975, dove l'Italia viene attraversata da periodi di violente tensioni politiche e sociali che si ripercuotono anche sul mondo dello spettacolo e sul mondo culturale, mettendo in crisi vari settori e con esso anche il sistema dei Teatri Stabili.
La loro ripresa si avrà in seguito solo a partire dalla fine degli anni '70 grazie a nuove forme di sperimentazione artistica e a nuovi modelli di organizzazione statale, come ad esempio la nascita di cooperative sociali.
Vi furono però in passato, anche stavolta tra la fine dell'Ottocento e gli inizi del Novecento, dei primi tentativi di costruzione di questa tipologia di teatri, ma quasi tutti ebbero scarsi risultati e fallirono (almeno in questa prima parte di storia).
Testo che viene in aiuto per delineare una prima fase storica dei Teatri Stabili in Italia, anche se a molti potrà sembrare strano, è quello scritto da Andrea Camilleri (proprio lui, il papà del Commissario Montalbano; voglio ricordare a chi legge, che prima di diventare famoso come scrittore, Camilleri è stato per lunghissimo tempo nel mondo del teatro e dello spettacolo ricoprendo svariati ruoli) ed intitolato appunto: Teatri Stabili 1898-1918.
Pubblicato nel 1960, il libro mostra venti anni di storia teatrale italiana e dopo una spiegazione introduttiva ben documentata, sfogliano tra le pagine si arriva alla seconda parte del testo dove, secondo lo scrittore, la storia dei due primi tentativi di creazione di Stabili (prima ancora di Strehler e Grassi) è avvenuta con Domenico Lanza e il "Teatro d'Arte" di Torino ed ancora con Ermete Novelli, a Roma, con la creazione della "Casa di Goldoni" (ispirata al modello francese la Maison Moliere), entrambi i risultati però furono vani e non se ne concluse nulla.
Se Camilleri pone l'attenzione su una prima fase storica dei Teatri Stabili italiani, noi invece, come visto poco sopra nella citazione del manuale del Brockett, sappiamo che è con Strehler e Grassi che si ha il primo vero riuscito tentativo di Stabile italiano.
Vediamo quindi ora la storia del Piccolo Teatro di Milano.
Fondato nel 1947 da Giorgio Strehler (1921-1997) e Paolo Grassi (1919-1981) venne sovvenzionato dal comune di Milano che mise a disposizione del gruppo una sala teatrale, senza chiedere alcun affitto e successivamente offrirono loro anche delle sovvenzioni statali.
Strehler ha curato la regia di circa tre quarti delle produzioni del Piccolo (invitando anche famosi registi stranieri a dirigere gli allestimenti) ed ispirandosi soprattutto alle tecniche brechtiane (di Brecht potete vedere il post alla voce "Biografie-Teatro" nella colonna di fianco tra le Etichette).
Tra le sue produzioni, giusto per citarne solo alcune, le più famose sono: Arlecchino servitore di due padroni (1947); Trilogia della villeggiatura (1954); El nost Milan (di Carlo Bertolazzi, 1955).
Grazie a Strehler si aprì in Italia il ruolo della Regia Critica ed il Piccolo Teatro con le sue tourneé estere è diventato famoso anche a livello internazionale.
Teatri Stabili e sovvenzioni quindi quelli che prendono piede a partire dal 1936 in poi e che permettono di conseguenza di dare risalto anche ad una nuova ed ulteriore figura moderna nata proprio con il nuovo secolo e che ha acquisito sempre più potere e visibilità: la figura del Regista.
Ricordiamo che anche se il ruolo del regista, o meglio il termine Regia/Regista, nasce a partire dagli anni '30 del Novecento, in realtà la loro figura è sempre esistita in particolare ogni volta che si è dato corpo ad una esperienza performativa visiva.
Per avere un discorso più chiaro occorre guardare al saggio del professor Claudio Meldolesi, che si ritrova all'interno del libro "Civiltà teatrale nel XX secolo", scritto da Fabrizio Cruciani.
Da pagina 283 fino a pagina 304, Meldolesi, individua e cita quelli che sono stati i ponti per formare la regia in Italia e sofferma la sua attenzione in particolare su tre punti, che descrive più come tre livelli:
1 livello - Regia Stilistica;
2 livello - Regia a spettacolo unico;
3 livello - Regia Critica.
La Regia Critica è quella che vede il regista smontare il testo ed analizzarlo per rivisitarlo in maniera più attuale e riportarlo in chiave moderna sulla scena.
Domanda fondamentale che si pone il regista ora e che deve trasmettere al pubblico è : Cosa quell'opera ci dice a noi oggi ?
Il discorso sulla Regia Critica è molto lungo, anche perché in Italia è stato un processo che si è avviato con lentezza e che si è prolungato nel tempo; a noi basta sapere che ora, il Teatro del secondo Novecento non vede più il Testo come il centro della scena ma adesso tutto viene dato in mano a questa figura chiave, il Regista, che deve essere sì in grado di creare rifacendosi al testo ma deve essere anche in grado di allontanarsi da esso puntando più su una propria rappresentazione personale che sia lucida, analitica e rivisitata in chiave attuale.
Il regista insomma deve diventare creatore ed imporre il proprio modo di leggere il testo teatrale.
Due furono, secondo il parere di diversi studiosi di storia del teatro, i registi italiani che conquistarono la fama internazionale a partire dal 1936 in poi: Luchino Visconti e Franco Zeffirelli.
Nato a Milano da una famiglia di nobili origini, Luchino Visconti è considerato il primo padre di quello che sarà il futuro Neorealismo italiano (insieme poi a Rossellini e De Sica).
Appassionato fin da ragazzo di musica lirica, iniziò ad occuparsi di arte a partire dagli anni '30 e nel 1936 divenne assistente alla regia cinematografica, a Parigi, del regista Jean Renoir.
Rientrato in Italia dopo la morte della madre e trasferitosi a Roma, Visconti ha saputo approfittare del clima creatosi nel secondo dopoguerra, dopo la caduta del fascismo, di quella voglia di rinnovare le scene italiane ed è stato così in grado di aprirsi al teatro e a nuovi impegni artistici e culturali rinnovando e fondando un nuovo modo di fare la Regia in Italia.
La sua prima regia teatrale avviene con l'opera del francese Jean Cocteau, intitolata "Parenti Terribili", nel gennaio del 1945 al teatro Eliseo di Roma.
Da quella regia in poi, il suo rapporto con il teatro divenne di puro amore e tante sono state le opere portate sulla scena in qualità di regista, soprattutto opere di un certo spessore culturale (Cocteau, Cechov, Miller e tanti altri ancora) che portavano lo spettatore a distaccarsi dai classici testi borghesi e ad entrare in contatto con testi dalle tematiche più realistiche e concrete.
Anche con Visconti nasce la Regia Critica e la figura del regista diventa quella di un vero professionista.
Al fianco di Luchino Visconti e della sua regia critica, si trova un altro personaggio importante nel panorama culturale italiano dell'epoca: Franco Zeffirelli.
Infanzia difficile, con un padre che non lo ha mai riconosciuto ed una madre morta quando era ancora molto giovane, Zeffirelli ha frequentato l'Accademia di Belle Arti di Firenze ed è stato scenografo subito dopo la guerra.
Il suo esordio come regista, sia teatrale che cinematografico, lo ha a partire dagli anni Cinquanta, influenzato soprattutto dal mondo shakespeariano tanto che tra le sue produzioni più famose rimangono: Romeo e Giulietta (in teatro all'Old Vic); Amleto (rappresentato dalla sua compagnia a Roma); Molto rumore per nulla (al National Theatre di Londra).
L'attenzione di Zeffirelli in qualità di regista (influenzato comunque dal fatto di essere stato prima scenografo) si è sempre concentrata intorno all'elemento spettacolare e solo dopo è andato ad osservare l'interiorità del testo in sé e del personaggio sulla scena.
Riassumendo fino ad ora il discorso sul teatro moderno e contemporaneo dal 1936 in poi si può tentare di fare (anche se probabilmente brutto a vedersi) una sorta di schema che racchiude in tre parole quanto visto fino ad ora:
1- Nascita dei Teatri Stabili;
2- Il Piccolo di Milano (primo teatro Stabile sovvenzionato) e la figura di Strehler;
3- La Regia Critica in Italia (nascita e sviluppo).
Ultimo argomento (almeno per quanto concerne il post di oggi) da andare a visionare è quello che riguarda la figura dell'attore contemporaneo.
Se la Regia infatti rappresenta la possibilità di farsi ascoltare dal pubblico attraverso un testo scritto, l'Attore è ovviamente il mezzo espressivo attraverso cui attuare il meccanismo.
Poiché i personaggi dei testi sono esseri immateriali, di fantasia, occorre qualcuno che dia loro vita sulle scene. Quindi per molti registi è importante che esista la figura dell'attore.
Se tra la fine dell'Ottocento e gli inizi del Novecento tutto ruotava intorno a loro ora è invece il regista a guidarli ed istruirli dando loro la giusta via interpretativa.
Nel teatro che si è sviluppato a partire dal 1936 in poi, figure di attori fondamentali sono tantissime e quindi citeremo qui solo due di quei nomi (altrimenti per elencarli tutti ci vorrebbe un anno intero come minimo).
Tra tutti questi nomi, quelli che compaiono più di frequente in molti manuali di storia del teatro sono: Eduardo De Filippo (1900-1984) e Totò (1898-1967).
Figlio naturale di Eduardo Scarpetta, De Filippo, viene considerato uno dei migliori attori italiani del Novecento.
Ha lavorato a lungo con i fratelli Peppino e Titina e con loro formò una compagnia teatrale tra il 1932 e il 1945, dove alla sua attività di attore e regista accompagnò anche quella di autore drammatico.
Molte delle sue opere affondano le radici nella realtà napoletana e sono scritte in dialetto, nonostante ciò però le situazioni affrontate nei testi possono benissimo assumere tratti universali.
Altro testo che viene in aiuto per chiarire sia la figura di Eduardo che quella di Totò è quello intitolato "Tra Totò e Gadda: Sei invenzioni sprecate del Teatro Italiano", scritto sempre da Claudio Meldolesi, dove ad un tratto si legge:
Eduardo viene presentato come prima cosa come un attore simile agli altri che riuscì a costruire un suo modo di creazione passando attraverso l'intimità dell'attore e del personaggio, dove la vita quotidiana degli umili e dei piccolo-borghesi napoletani risaltava nitidamente.
L'attore-autore Eduardo, sul piano drammaturgico mostrò il bisogno di aprirsi all'influenza di Pirandello...
Meldolesi vede in Eduardo due tipi di relazione: una di natura drammaturgica; l'altra di natura artistica.
Sempre secondo quanto detto sopra, Eduardo, venne influenzato da Luigi Pirandello (che incontrò a Napoli nel 1933). In effetti, osservando attentamente le opere di De Filippo si nota come il tempo dei personaggi scorra per mutamenti di identità attraverso rapide svolte psicologiche dove da un personaggio ne può venire fuori un altro (chiara influenza pirandelliana questa).
Tra le opere più famose di Eduardo si ricordano: Filumena Marturano; L'Abito Nuovo; Natale in casa Cupiello; Napoli Milionaria; Il sindaco del rione Sanità.
Il calore e l'ironia emanato dalle opere di De Filippo lo hanno reso famoso in tutto il mondo.
Altro attore famoso in tutto il mondo è il principe Antonio De Curtis, in arte: Totò.
Attore, commediografo, paroliere, poeta e sceneggiatore, il talento straordinario di quest'uomo viene riconosciuto solo dopo la sua morte.
Totò infatti non fu subito ben compreso dai critici e tutti credono di conoscere la sua arte perché i film gli hanno dato visibilità. Non si riflette però sul fatto che Totò passo al cinema solo negli anni Cinquanta, venendo prima da una lunghissima esperienza teatrale.
E' lo stesso attore a raccontare nella sua biografia, scritta dal critico Alessandro Ferrati, intitolata "Siamo Uomini o Caporali ?" del suo avvicinamento al teatro, avvenuto grazie ad un impresario, tale Pasqualino, che lo chiamò al Teatro Nuovo di Napoli, tempio dell'arte partenopea dell'epoca, per esibirsi.
Per Totò il teatro era come un tempio sacro ed ogni volta che passava di fronte ad un palcoscenico si toglieva il cappello dalla testa in segno di saluto ossequioso.
Da buon saltimbanco egli riuscì a modellare artificialmente il proprio corpo fino a renderlo perfettamente gestuale con un equilibrato gioco di mimica facciale. Una vera e propria maschera visiva.
Dal 1925 al 1929, Totò si esibì nei "Caffè Concerto" ed in seguito seguì la compagnia del teatro stabile di Molinari in alcune tourneé teatrali nazionali.
Dal 1932 si fece Capocomico di alcune compagnie di Avanspettacolo organizzate per raggiungere il pubblico cinematografico e teatrale.
A partire dagli anni Quaranta passò all'Avanspettacolo delle Riviste, portando in scena solo 12 spettacoli.
Passò al cinema negli anni Cinquanta e lì trovò ciò che in teatro non gli veniva offerto, ovvero la possibilità di fare l'attore protagonista con registi di grande spessore (ad esempio Steno e Monicelli, De Sica, Rossellini e tanti altri).
L'attore ha concluso la sua vita in condizioni di quasi cecità a causa di una grave forma di corioretinite aggravata dalla lunga esposizione alle luci della scena.
Ridurre il discorso su Totò e De Filippo a poche righe non è molto corretto ma non si poteva fare altrimenti o si sarebbe arrivati a non finire più il post.
Quello che possiamo scrivere di certo in conclusione è che il Teatro a partire dal 1936 cerca una propria stabilità (grazie ai sovvenzionamenti statali) ed una propria autonomia pur sperimentando sempre diverse fasi nuove e rivoluzionarie.
Tanti sono stati i protagonisti dei diversi settori (in questo post ne abbiamo citati solo alcuni tra migliaia) che hanno permesso che si arrivasse ad un rinnovamento delle scene e soprattutto dagli anni '30 in poi si fa avanti un nuovo concetto di Regia ed il ruolo di regista assume anche chiave critica rispetto agli inizi.
Al momento concludiamo così, con tanta carne messa a fuoco comunque, mentre il prossimo mese continueremo il discorso sul teatro moderno e contemporaneo prendendo in esame il periodo che va dagli inizi degli anni '60 fino ad arrivare ai primi anni '80.
FONTI ED IMMAGINI:
Oscar G. Brockett, Storia del Teatro vol. 2, Edizioni Saggi Marsili.
Andrea Camilleri, I Teatri Stabili in Italia 1898-1918, editore Cappelli, Bologna 1960.
F. Cruciani e C. Faletti, Civiltà teatrale nel XX secolo, edizione Il Mulino 1986.
R. Alonge, Il teatro dei Registi, edizioni Laterza 2006.
C. Meldolesi, Tra Totò e Gadda: sei invenzioni sprecate del teatro italiano, editore Bulzoni 1987.
Appunti sparsi del corso tenuto dal professore Longhi per le lezioni di Istituzioni di Regia tenute presso l'Università di Bologna (corso di laurea D.a.m.s) nel 2008.
http://www.luchinovisconti.net/visconti_al/teatro_cechov_visconti.html
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