Nella giornata di Halloween non poteva non mancare qualche argomento intrigante e leggermente macabro per festeggiare con simpatia.
Ovviamente non mi riferisco a chissà quali cose in stile horror ma parlo semplicemente di una serie televisiva che in America ha avuto enorme successo fin dalla messa in onda della prima puntata (con circa dieci milioni di spettatori) e che a breve, esattamente a partire dal 19 Novembre, verrà finalmente trasmessa anche in Italia.
Sto praticamente parlando di: Sleepy Hollow.
Sono sicura che non appena avete letto il nome qui sopra avete fatto mente locale ed avete subito capito di cosa stiamo parlando.
In fondo quella di Sleepy Hollow è una leggenda ultra famosa che circola fin dagli anni '20, grazie al libro scritto da Washington Irving, e di cui sono stati in seguito fatti ben più di trenta adattamenti televisivi o cinematografici (di questi il più famoso rimane il film "Il Mistero di Sleepy Hollow" per la regia di Tim Burton e con protagonista l'affascinante Johnny Depp).
La trama velocemente (e non tutta ovviamente) è questa:
Ichabod Crane (interpretato qui dall'attore inglese Tom Mison), colonello dell'esercito di George Washington, morto dopo aver decapitato un temibile avversario, si risveglia ed esce fuori dalla sua tomba dopo ben 250 anni, nella cittadina che è stata ribattezzata con il nome di Sleepy Hollow, che sorge lungo una valle boschiva da brivido.
Al suo risveglio, Ichabod, scopre che anche il cavaliere senza testa (conosciuto come la Morte, ovvero uno dei 4 cavalieri dell'Apocalisse) si è risvegliato e sta seminando il terrore nella cittadina.
Toccherà nuovamente a lui cercare di risolvere il mistero, in un tempo che non gli appartiene più, quello del XXI secolo ed in cui è tornato in vita, stavolta però avrà l'aiuto della giovane detective Abbie Mills (che conosciuto Crane inizia a credere nel soprannaturale).
Non sveliamo oltre e fermiamoci qui, aggiungiamo solo il semplice fatto che la serie conta di 13 episodi che saranno trasmessi sul canale Fox di Sky, ogni martedì, a partire dal 19 settembre in prima serata alle ore 21.
Nell'attesa di poter visionare questa fantastica fiction vi lascio augurandovi un Buon Halloween e un buon weekend.
Fonti ed Immagini:
Rivista di Sky mese di Novembre 2013.
http://www.mondonerd.it/wp/cinema-serie/serie-tv/zitta-zitta-e-arrivata-la-serie-tv-di-sleepy-hollow-recensione-del-pilot/
Iniziamo
Arrivo tardi come al solito nel mondo informatico e mi cimento
cosi' per la prima volta con un Blog ....
Ma come dice il famoso detto popolare "Meglio tardi che mai".
Il seguente Blog tratta pertanto svariati argomenti: si va dalla vita personale a Fotografie, dalla Letteratura all'Arte in generale (Musica, Teatro, Cinema), dalla Storia alle Biografie di personaggi famosi, Viaggi, Ricette di Cucina, Eventi e notizie in generale.
Percio' Benvenuto a chiunque voglia seguire queste pagine.
cosi' per la prima volta con un Blog ....
Ma come dice il famoso detto popolare "Meglio tardi che mai".
Il seguente Blog tratta pertanto svariati argomenti: si va dalla vita personale a Fotografie, dalla Letteratura all'Arte in generale (Musica, Teatro, Cinema), dalla Storia alle Biografie di personaggi famosi, Viaggi, Ricette di Cucina, Eventi e notizie in generale.
Percio' Benvenuto a chiunque voglia seguire queste pagine.
giovedì 31 ottobre 2013
lunedì 28 ottobre 2013
Addio a Lou Reed. Una video canzone per ricordarlo.
Semplicemente un video per ricordare la scomparsa, avvenuta ieri, di uno tra i più grandi rocker e musicisti del nostro tempo: Lou Reed.
venerdì 25 ottobre 2013
L'addio all'attore Andrea Brambilla, conosciuto come Zuzzurro nel duo con Gaspare.
Il mondo dello spettacolo piange da ieri la scomparsa di Andrea Brambilla.
Spentosi all'età di 67 anni, dopo una lunga lotta contro un tumore ai polmoni, Andrea era conosciuto a tanti con il nome d'arte di Zuzzurro.
Lo ricorderete sicuramente in coppia sullo schermo con l'altro comico Gaspare in episodi degli anni '80 dello spettacolo cult televisivo "Drive In".
Tanti gli sketch e tante le risate che questo grande attore è stato in grado di strappare al pubblico sia televisivo che teatrale (passione, quest'ultima mai abbandonata e portata avanti per tutti gli anni '90).
Il breve post di stasera serve quindi semplicemente a porre, a modo nostro, un ultimo saluto a questo piccolo grande uomo.
Spentosi all'età di 67 anni, dopo una lunga lotta contro un tumore ai polmoni, Andrea era conosciuto a tanti con il nome d'arte di Zuzzurro.
Lo ricorderete sicuramente in coppia sullo schermo con l'altro comico Gaspare in episodi degli anni '80 dello spettacolo cult televisivo "Drive In".
Tanti gli sketch e tante le risate che questo grande attore è stato in grado di strappare al pubblico sia televisivo che teatrale (passione, quest'ultima mai abbandonata e portata avanti per tutti gli anni '90).
Il breve post di stasera serve quindi semplicemente a porre, a modo nostro, un ultimo saluto a questo piccolo grande uomo.
martedì 22 ottobre 2013
Su Sky Arte va in onda il fascino del cinema degli anni '40 con il sex symbol Rita Hayworth.
Ieri sera sul canale Sky Arte è andato in onda, a partire dalle ore 21, uno speciale sulla figura di una delle più grandi attrici del passato considerata come un vero e proprio sex symbol degli anni '40, parlo di: Rita Hayworth.
Sono consapevole di essere troppo giovane per ricordarmi di una grande icona come la Hayworth, ma grazie ai suoi vecchi film ho avuto modo di poterla conoscere e di restare incantata dalla sua prorompente figura. Perché diciamolo, alla fine esistono tante star del magico mondo hollywoodiano che restano eterne grazie alle pellicole che hanno girato e che hanno fatto la storia del cinema immortalandole e dando la possibilità anche a chi, come me, non ha vissuto quei tempi di poter rivivere le loro storie.
Parliamo quindi oggi di Rita e dei suoi film.
Nata a New York nell'ottobre del 1918, Margarita Carmen Cansino, nome d'arte Rita Hayworth, possedeva origini spagnole ed era figlia del noto ballerino Eduardo Cansino.
Il padre le insegnò fin da piccola a ballare il flamenco e la portò con sé in giro per svariate tourneé nazionali non appena la ragazza compì 12 anni.
Notata nel 1935 dal produttore hollywoodiano Harry Cohn la vita di Margarita cambiò di colpo.
Affascinato dalla sua bellezza latina, Cohn, infatti le propose un contratto con la Columbia Pictures e le cambiò il nome scegliendo per lei quello di Rita Hayworth.
Cambiatole il look secondo le esigenze dello star system cinematografico e tinti i capelli di rosso (i suoi di origine erano castani) Cohn trasformò Rita in una vera e propria vamp e la mise a recitare al fianco dei maggiori divi di quell'epoca, come ad esempio: Tyron Power;Fred Astaire e Gene Kelly.
La vita privata e sentimentale della Hayworth non è stata altrettanto fortunata.
Sposatasi una prima volta, per risolvere i propri problemi economici, con Edward C. Judson,
Rita incontra e resta incantata dallo stravagante ed eclettico artista Orson Welles.
Divorzia così dal primo marito per potersi risposare con Welles nel 1943 da cui poi ha una bambina, che chiamarono Rebecca, nel 1944.
Insieme i due girano il film, diretto dal marito nel 1947, intitolato "La signora di Shanghai".
In questo film, la Hayworth, spiazzò tutti sfoggiando un nuovo look con i capelli tinti di biondo e dimostrando che volendo avrebbe potuto anche essere una attrice in grado di recitare ruoli seri e più complessi e non i soliti stereotipati da femme fatale che le affidavano.
Ad ogni modo il film non venne ben compreso dalla critica (anche se al pubblico in realtà piacque) e la Hayworth e Welles divorziarono l'anno successivo.
Nel 1946 esce il film che la porterà a diventare una vera e propria icona sexy a livello mondiale: Gilda, al fianco dell'attore Glenn Ford (con cui pare abbia avuto una relazione extraconiugale).
Grazie a questo film, Rita, diventa anche il simbolo per molti soldati americani che si trovano al fronte durante la seconda guerra mondiale e una copia della sua immagine venne persino usata ed incollata sulla bomba atomica sperimentale lanciata sull'atollo di Bikini (nell'Oceano Pacifico).
Nello stesso anno rifiuta di girare un film che la Columbia aveva pensato per lei ed il produttore Cohn le sospende la paga per 9 settimane.
Nel 1948 incontra il principe Ali Khan e con lui si sposa, per la terza volta, in Francia nel 1949.
Nonostante le differenze culturali tra i due, Khan era mussulmano mentre la Hayworth era cattolica,
i due furono felici insieme (anche se la loro unione non fu ben vista dai parenti di lei e dal pubblico americano, oltre che dagli studio's americani presso cui lei lavorava).
Con il principe Khan ebbe un'altra figlia, Yasmine, e nonostante le minacce del produttore Cohn di licenziarla se non fosse tornata subito a lavorare, la Hayworth, visse dal 1949 al 1951 insieme al marito e alla bambina in Pakistan.
Le differenze tra la coppia però iniziarono a farsi sentire e a pesare ed anche questo matrimonio fallì, finendo con un divorzio nel 1953.
Rimasta senza sostegno economico, Rita, dovette bussare nuovamente alla porta del produttore Cohn (vero e proprio padrone che sfruttava l'immagine di quella povera donna) che la riprese a lavorare negli studi cinematografici della Columbia.
Gli anni Cinquanta non furono però tra i migliori per la Hayworth che si vide assegnare ruoli di secondo piano o che non le rendevano grande giustizia (probabilmente una sorta di vendetta da parte dei produttori per il suo comportamento).
Inoltre ebbe altri due matrimoni che si rivelarono dei fallimenti e iniziò a darsi all'alcool.
Alla fine degli anni Sessanta, l'attrice, mostrò i primi segni della malattia dell'Alzheimer ma non le venne diagnosticata fino agli anni Ottanta (erano anni in cui ancora non si sapeva nulla di concreto su questa malattia).
La secondogenita, Yasmin, le restò accanto e si prese cura di lei fino al giorno della sua morte, avvenuta a New York nel maggio del 1987 a soli 68 anni.
CONCLUSIONE:
Rita Hayworth donna tanto ammirata sul grande schermo dai fans e tanto sfortunata nella vita privata, in cerca di qualcuno in grado di amarla realmente, di un uomo che non la facesse sentire solamente come fosse una bambola.
Celebre rimane infatti la sua frase "Gli uomini vengono a letto con Gilda e si risvegliano con Rita" (indicando così la delusione degli uomini che l'avevano mitizzata, pensando che fosse il personaggio che lei interpretava, ovvero Gilda, e non la persona che era, Rita).
La sua immagine di rossa fatale coprirà sempre la sua bravura artistica che ancora oggi spesso non viene riconosciuta dai critici.
Rimarrà comunque, nel cuore di chi guarda i suoi film, un vero e proprio mito, una icona del cinema degli anni Quaranta.
FONTI ED IMMAGINI:
Http: Wikipedia.com
http://boxofficechampions.wordpress.com/2013/09/25/rita-hayworth-box-office-hits-1939-1972/
http://www.fanpop.com/clubs/rita-hayworth/images/32953586/title/rita-hayworth-photo
Sono consapevole di essere troppo giovane per ricordarmi di una grande icona come la Hayworth, ma grazie ai suoi vecchi film ho avuto modo di poterla conoscere e di restare incantata dalla sua prorompente figura. Perché diciamolo, alla fine esistono tante star del magico mondo hollywoodiano che restano eterne grazie alle pellicole che hanno girato e che hanno fatto la storia del cinema immortalandole e dando la possibilità anche a chi, come me, non ha vissuto quei tempi di poter rivivere le loro storie.
Parliamo quindi oggi di Rita e dei suoi film.
Nata a New York nell'ottobre del 1918, Margarita Carmen Cansino, nome d'arte Rita Hayworth, possedeva origini spagnole ed era figlia del noto ballerino Eduardo Cansino.
Il padre le insegnò fin da piccola a ballare il flamenco e la portò con sé in giro per svariate tourneé nazionali non appena la ragazza compì 12 anni.
Notata nel 1935 dal produttore hollywoodiano Harry Cohn la vita di Margarita cambiò di colpo.
Affascinato dalla sua bellezza latina, Cohn, infatti le propose un contratto con la Columbia Pictures e le cambiò il nome scegliendo per lei quello di Rita Hayworth.
Cambiatole il look secondo le esigenze dello star system cinematografico e tinti i capelli di rosso (i suoi di origine erano castani) Cohn trasformò Rita in una vera e propria vamp e la mise a recitare al fianco dei maggiori divi di quell'epoca, come ad esempio: Tyron Power;Fred Astaire e Gene Kelly.
La vita privata e sentimentale della Hayworth non è stata altrettanto fortunata.
Sposatasi una prima volta, per risolvere i propri problemi economici, con Edward C. Judson,
Rita incontra e resta incantata dallo stravagante ed eclettico artista Orson Welles.
Divorzia così dal primo marito per potersi risposare con Welles nel 1943 da cui poi ha una bambina, che chiamarono Rebecca, nel 1944.
Insieme i due girano il film, diretto dal marito nel 1947, intitolato "La signora di Shanghai".
In questo film, la Hayworth, spiazzò tutti sfoggiando un nuovo look con i capelli tinti di biondo e dimostrando che volendo avrebbe potuto anche essere una attrice in grado di recitare ruoli seri e più complessi e non i soliti stereotipati da femme fatale che le affidavano.
Ad ogni modo il film non venne ben compreso dalla critica (anche se al pubblico in realtà piacque) e la Hayworth e Welles divorziarono l'anno successivo.
Nel 1946 esce il film che la porterà a diventare una vera e propria icona sexy a livello mondiale: Gilda, al fianco dell'attore Glenn Ford (con cui pare abbia avuto una relazione extraconiugale).
Grazie a questo film, Rita, diventa anche il simbolo per molti soldati americani che si trovano al fronte durante la seconda guerra mondiale e una copia della sua immagine venne persino usata ed incollata sulla bomba atomica sperimentale lanciata sull'atollo di Bikini (nell'Oceano Pacifico).
Nello stesso anno rifiuta di girare un film che la Columbia aveva pensato per lei ed il produttore Cohn le sospende la paga per 9 settimane.
Nel 1948 incontra il principe Ali Khan e con lui si sposa, per la terza volta, in Francia nel 1949.
Nonostante le differenze culturali tra i due, Khan era mussulmano mentre la Hayworth era cattolica,
i due furono felici insieme (anche se la loro unione non fu ben vista dai parenti di lei e dal pubblico americano, oltre che dagli studio's americani presso cui lei lavorava).
Con il principe Khan ebbe un'altra figlia, Yasmine, e nonostante le minacce del produttore Cohn di licenziarla se non fosse tornata subito a lavorare, la Hayworth, visse dal 1949 al 1951 insieme al marito e alla bambina in Pakistan.
Le differenze tra la coppia però iniziarono a farsi sentire e a pesare ed anche questo matrimonio fallì, finendo con un divorzio nel 1953.
Rimasta senza sostegno economico, Rita, dovette bussare nuovamente alla porta del produttore Cohn (vero e proprio padrone che sfruttava l'immagine di quella povera donna) che la riprese a lavorare negli studi cinematografici della Columbia.
Gli anni Cinquanta non furono però tra i migliori per la Hayworth che si vide assegnare ruoli di secondo piano o che non le rendevano grande giustizia (probabilmente una sorta di vendetta da parte dei produttori per il suo comportamento).
Inoltre ebbe altri due matrimoni che si rivelarono dei fallimenti e iniziò a darsi all'alcool.
Alla fine degli anni Sessanta, l'attrice, mostrò i primi segni della malattia dell'Alzheimer ma non le venne diagnosticata fino agli anni Ottanta (erano anni in cui ancora non si sapeva nulla di concreto su questa malattia).
La secondogenita, Yasmin, le restò accanto e si prese cura di lei fino al giorno della sua morte, avvenuta a New York nel maggio del 1987 a soli 68 anni.
CONCLUSIONE:
Rita Hayworth donna tanto ammirata sul grande schermo dai fans e tanto sfortunata nella vita privata, in cerca di qualcuno in grado di amarla realmente, di un uomo che non la facesse sentire solamente come fosse una bambola.
Celebre rimane infatti la sua frase "Gli uomini vengono a letto con Gilda e si risvegliano con Rita" (indicando così la delusione degli uomini che l'avevano mitizzata, pensando che fosse il personaggio che lei interpretava, ovvero Gilda, e non la persona che era, Rita).
La sua immagine di rossa fatale coprirà sempre la sua bravura artistica che ancora oggi spesso non viene riconosciuta dai critici.
Rimarrà comunque, nel cuore di chi guarda i suoi film, un vero e proprio mito, una icona del cinema degli anni Quaranta.
FONTI ED IMMAGINI:
Http: Wikipedia.com
http://boxofficechampions.wordpress.com/2013/09/25/rita-hayworth-box-office-hits-1939-1972/
http://www.fanpop.com/clubs/rita-hayworth/images/32953586/title/rita-hayworth-photo
venerdì 18 ottobre 2013
Storia del Teatro Italiano Moderno e Contemporaneo seconda parte: 1936-1959. Qualche vecchio appunto universitario.
Come promesso nel post del 23 Settembre 2013, oggi continuo a scrivere della seconda parte riguardante la storia del teatro italiano moderno e contemporaneo, stavolta a partire dal 1936 (anno in cui ci eravamo fermati in precedenza).
Se dalla fine dell'Ottocento arrivano i primi segnali di insofferenza nei confronti di un modo vecchio di pensare e di agire nei vari campi artistici, adesso invece, con gli inizi del Novecento, il teatro si vuole nuovo ed agisce (grazie anche ai numerosi personaggi di cui abbiamo descritto in precedenza, come ad esempio Eleonora Duse e Luigi Pirandello) affinché questo cambiamento avvenga presto.
Nel teatro del nuovo secolo si sono viste: la nascita di nuove figure artistiche e culturali (come quella del regista); la ricerca di nuovi spazi drammaturgici; lo stravolgere e il rinnovare la drammaturgia dei testi (ad esempio Pirandello e il suo Metateatro); nuovi ruoli e nuovo agire dell'attore sul palcoscenico; nuove filosofie generali applicate poi ad un contesto che si è pian piano delineato sempre più nel tempo.
E' un secolo, quello del Novecento, attraversato da guerre e rivoluzioni che hanno segnato non solo il mondo in generale ma anche le arti e tutto ciò che lo circondava e per tale ragione, gli uomini e le donne che hanno agito in questo periodo si sentirono in dovere di riformare e trasformare tutto quello che passava loro sotto mano.
Sperimentazione, Estremismo e Dissacrazione sono ora le nuove parole d'ordine.
Muoiono le vecchie compagnie del capocomicato, quelle costruite da famiglie, e nascono figure professionali diverse oltre che teatri liberi e sovvenzionati dallo Stato (quindi anche la politica inizia a giocare un ruolo differente all'interno del mondo culturale teatrale; ricordate nel post precedente la figura di Silvio D'Amico e la sua Accademia d'Arte Drammatica nella capitale italiana ? quello è uno dei tanti esempi in tal senso).
Dopo il breve riassunto introduttivo veniamo ora al Teatro Italiano a partire dal 1936.
Ricordo prima però velocemente, come già fatto nel post precedente, che si prende in esame al momento solo il teatro di casa nostra perché ampliare il discorso anche al resto del mondo diventerebbe lungo e complesso; ciò non significa però che non vengano, seppur sinteticamente, fatti dei brevi confronti o citati degli altri personaggi del resto d'Europa in quanto è anche da lì che arrivano gli influssi del nuovo pensare e del nuovo agire nel settore.
Dal 1936 in poi, scomparse le compagnie che si concentravano solo intorno alla figura del primo attore, si affermarono nuove formazioni che presentavano un repertorio più ristretto (due o tre opere per stagione) dedicando stavolta più attenzione alla qualità del testo e delle produzioni che al suo modo di trasporle sulla scena.
Il discorso viene approfondito e chiarito meglio nel secondo volume del manuale di Storia del Teatro, scritto da Oscar G. Brockett, dove a pagina 606 si legge:
Il complesso dell'attività teatrale continuò a rimanere nelle mani delle compagnie di giro, ma già nell'immediato dopoguerra si costruirono i primi teatri stabili a carattere comunale o regionale, che ottennero particolari sovvenzioni dallo Stato, dal comune, dalla provincia, dalla regione e dagli enti pubblici.
Il più importante di questi gruppi stabili fu Il Piccolo Teatro di Milano, fondato nel 1947 da Giorgio Strehler e Paolo Grassi.
Iniziamo quindi da qui, dalla nascita dei Teatri Stabili e diamo una prima rapida occhiata a questo tema.I Teatri Stabili nascono con la fine della seconda guerra mondiale, quando nel panorama teatrale e letterario nazionale, gli addetti ai lavori, operano affinché lo Stato sostenga il ruolo sociale, educativo e pedagogico del teatro.
La storia degli Stabili si costituisce di due momenti importanti: il primo, che va dal 1946 al 1966 e vede la loro nascita; il secondo periodo, dal 1967 al 1975, dove l'Italia viene attraversata da periodi di violente tensioni politiche e sociali che si ripercuotono anche sul mondo dello spettacolo e sul mondo culturale, mettendo in crisi vari settori e con esso anche il sistema dei Teatri Stabili.
La loro ripresa si avrà in seguito solo a partire dalla fine degli anni '70 grazie a nuove forme di sperimentazione artistica e a nuovi modelli di organizzazione statale, come ad esempio la nascita di cooperative sociali.
Vi furono però in passato, anche stavolta tra la fine dell'Ottocento e gli inizi del Novecento, dei primi tentativi di costruzione di questa tipologia di teatri, ma quasi tutti ebbero scarsi risultati e fallirono (almeno in questa prima parte di storia).
Testo che viene in aiuto per delineare una prima fase storica dei Teatri Stabili in Italia, anche se a molti potrà sembrare strano, è quello scritto da Andrea Camilleri (proprio lui, il papà del Commissario Montalbano; voglio ricordare a chi legge, che prima di diventare famoso come scrittore, Camilleri è stato per lunghissimo tempo nel mondo del teatro e dello spettacolo ricoprendo svariati ruoli) ed intitolato appunto: Teatri Stabili 1898-1918.
Pubblicato nel 1960, il libro mostra venti anni di storia teatrale italiana e dopo una spiegazione introduttiva ben documentata, sfogliano tra le pagine si arriva alla seconda parte del testo dove, secondo lo scrittore, la storia dei due primi tentativi di creazione di Stabili (prima ancora di Strehler e Grassi) è avvenuta con Domenico Lanza e il "Teatro d'Arte" di Torino ed ancora con Ermete Novelli, a Roma, con la creazione della "Casa di Goldoni" (ispirata al modello francese la Maison Moliere), entrambi i risultati però furono vani e non se ne concluse nulla.
Se Camilleri pone l'attenzione su una prima fase storica dei Teatri Stabili italiani, noi invece, come visto poco sopra nella citazione del manuale del Brockett, sappiamo che è con Strehler e Grassi che si ha il primo vero riuscito tentativo di Stabile italiano.
Vediamo quindi ora la storia del Piccolo Teatro di Milano.
Fondato nel 1947 da Giorgio Strehler (1921-1997) e Paolo Grassi (1919-1981) venne sovvenzionato dal comune di Milano che mise a disposizione del gruppo una sala teatrale, senza chiedere alcun affitto e successivamente offrirono loro anche delle sovvenzioni statali.
Strehler ha curato la regia di circa tre quarti delle produzioni del Piccolo (invitando anche famosi registi stranieri a dirigere gli allestimenti) ed ispirandosi soprattutto alle tecniche brechtiane (di Brecht potete vedere il post alla voce "Biografie-Teatro" nella colonna di fianco tra le Etichette).
Tra le sue produzioni, giusto per citarne solo alcune, le più famose sono: Arlecchino servitore di due padroni (1947); Trilogia della villeggiatura (1954); El nost Milan (di Carlo Bertolazzi, 1955).
Grazie a Strehler si aprì in Italia il ruolo della Regia Critica ed il Piccolo Teatro con le sue tourneé estere è diventato famoso anche a livello internazionale.
Teatri Stabili e sovvenzioni quindi quelli che prendono piede a partire dal 1936 in poi e che permettono di conseguenza di dare risalto anche ad una nuova ed ulteriore figura moderna nata proprio con il nuovo secolo e che ha acquisito sempre più potere e visibilità: la figura del Regista.
Ricordiamo che anche se il ruolo del regista, o meglio il termine Regia/Regista, nasce a partire dagli anni '30 del Novecento, in realtà la loro figura è sempre esistita in particolare ogni volta che si è dato corpo ad una esperienza performativa visiva.
Per avere un discorso più chiaro occorre guardare al saggio del professor Claudio Meldolesi, che si ritrova all'interno del libro "Civiltà teatrale nel XX secolo", scritto da Fabrizio Cruciani.
Da pagina 283 fino a pagina 304, Meldolesi, individua e cita quelli che sono stati i ponti per formare la regia in Italia e sofferma la sua attenzione in particolare su tre punti, che descrive più come tre livelli:
1 livello - Regia Stilistica;
2 livello - Regia a spettacolo unico;
3 livello - Regia Critica.
La Regia Critica è quella che vede il regista smontare il testo ed analizzarlo per rivisitarlo in maniera più attuale e riportarlo in chiave moderna sulla scena.
Domanda fondamentale che si pone il regista ora e che deve trasmettere al pubblico è : Cosa quell'opera ci dice a noi oggi ?
Il discorso sulla Regia Critica è molto lungo, anche perché in Italia è stato un processo che si è avviato con lentezza e che si è prolungato nel tempo; a noi basta sapere che ora, il Teatro del secondo Novecento non vede più il Testo come il centro della scena ma adesso tutto viene dato in mano a questa figura chiave, il Regista, che deve essere sì in grado di creare rifacendosi al testo ma deve essere anche in grado di allontanarsi da esso puntando più su una propria rappresentazione personale che sia lucida, analitica e rivisitata in chiave attuale.
Il regista insomma deve diventare creatore ed imporre il proprio modo di leggere il testo teatrale.
Due furono, secondo il parere di diversi studiosi di storia del teatro, i registi italiani che conquistarono la fama internazionale a partire dal 1936 in poi: Luchino Visconti e Franco Zeffirelli.
Nato a Milano da una famiglia di nobili origini, Luchino Visconti è considerato il primo padre di quello che sarà il futuro Neorealismo italiano (insieme poi a Rossellini e De Sica).
Appassionato fin da ragazzo di musica lirica, iniziò ad occuparsi di arte a partire dagli anni '30 e nel 1936 divenne assistente alla regia cinematografica, a Parigi, del regista Jean Renoir.
Rientrato in Italia dopo la morte della madre e trasferitosi a Roma, Visconti ha saputo approfittare del clima creatosi nel secondo dopoguerra, dopo la caduta del fascismo, di quella voglia di rinnovare le scene italiane ed è stato così in grado di aprirsi al teatro e a nuovi impegni artistici e culturali rinnovando e fondando un nuovo modo di fare la Regia in Italia.
La sua prima regia teatrale avviene con l'opera del francese Jean Cocteau, intitolata "Parenti Terribili", nel gennaio del 1945 al teatro Eliseo di Roma.
Da quella regia in poi, il suo rapporto con il teatro divenne di puro amore e tante sono state le opere portate sulla scena in qualità di regista, soprattutto opere di un certo spessore culturale (Cocteau, Cechov, Miller e tanti altri ancora) che portavano lo spettatore a distaccarsi dai classici testi borghesi e ad entrare in contatto con testi dalle tematiche più realistiche e concrete.
Anche con Visconti nasce la Regia Critica e la figura del regista diventa quella di un vero professionista.
Al fianco di Luchino Visconti e della sua regia critica, si trova un altro personaggio importante nel panorama culturale italiano dell'epoca: Franco Zeffirelli.
Infanzia difficile, con un padre che non lo ha mai riconosciuto ed una madre morta quando era ancora molto giovane, Zeffirelli ha frequentato l'Accademia di Belle Arti di Firenze ed è stato scenografo subito dopo la guerra.
Il suo esordio come regista, sia teatrale che cinematografico, lo ha a partire dagli anni Cinquanta, influenzato soprattutto dal mondo shakespeariano tanto che tra le sue produzioni più famose rimangono: Romeo e Giulietta (in teatro all'Old Vic); Amleto (rappresentato dalla sua compagnia a Roma); Molto rumore per nulla (al National Theatre di Londra).
L'attenzione di Zeffirelli in qualità di regista (influenzato comunque dal fatto di essere stato prima scenografo) si è sempre concentrata intorno all'elemento spettacolare e solo dopo è andato ad osservare l'interiorità del testo in sé e del personaggio sulla scena.
Riassumendo fino ad ora il discorso sul teatro moderno e contemporaneo dal 1936 in poi si può tentare di fare (anche se probabilmente brutto a vedersi) una sorta di schema che racchiude in tre parole quanto visto fino ad ora:
1- Nascita dei Teatri Stabili;
2- Il Piccolo di Milano (primo teatro Stabile sovvenzionato) e la figura di Strehler;
3- La Regia Critica in Italia (nascita e sviluppo).
Ultimo argomento (almeno per quanto concerne il post di oggi) da andare a visionare è quello che riguarda la figura dell'attore contemporaneo.
Se la Regia infatti rappresenta la possibilità di farsi ascoltare dal pubblico attraverso un testo scritto, l'Attore è ovviamente il mezzo espressivo attraverso cui attuare il meccanismo.
Poiché i personaggi dei testi sono esseri immateriali, di fantasia, occorre qualcuno che dia loro vita sulle scene. Quindi per molti registi è importante che esista la figura dell'attore.
Se tra la fine dell'Ottocento e gli inizi del Novecento tutto ruotava intorno a loro ora è invece il regista a guidarli ed istruirli dando loro la giusta via interpretativa.
Nel teatro che si è sviluppato a partire dal 1936 in poi, figure di attori fondamentali sono tantissime e quindi citeremo qui solo due di quei nomi (altrimenti per elencarli tutti ci vorrebbe un anno intero come minimo).
Tra tutti questi nomi, quelli che compaiono più di frequente in molti manuali di storia del teatro sono: Eduardo De Filippo (1900-1984) e Totò (1898-1967).
Figlio naturale di Eduardo Scarpetta, De Filippo, viene considerato uno dei migliori attori italiani del Novecento.
Ha lavorato a lungo con i fratelli Peppino e Titina e con loro formò una compagnia teatrale tra il 1932 e il 1945, dove alla sua attività di attore e regista accompagnò anche quella di autore drammatico.
Molte delle sue opere affondano le radici nella realtà napoletana e sono scritte in dialetto, nonostante ciò però le situazioni affrontate nei testi possono benissimo assumere tratti universali.
Altro testo che viene in aiuto per chiarire sia la figura di Eduardo che quella di Totò è quello intitolato "Tra Totò e Gadda: Sei invenzioni sprecate del Teatro Italiano", scritto sempre da Claudio Meldolesi, dove ad un tratto si legge:
Eduardo viene presentato come prima cosa come un attore simile agli altri che riuscì a costruire un suo modo di creazione passando attraverso l'intimità dell'attore e del personaggio, dove la vita quotidiana degli umili e dei piccolo-borghesi napoletani risaltava nitidamente.
L'attore-autore Eduardo, sul piano drammaturgico mostrò il bisogno di aprirsi all'influenza di Pirandello...
Meldolesi vede in Eduardo due tipi di relazione: una di natura drammaturgica; l'altra di natura artistica.
Sempre secondo quanto detto sopra, Eduardo, venne influenzato da Luigi Pirandello (che incontrò a Napoli nel 1933). In effetti, osservando attentamente le opere di De Filippo si nota come il tempo dei personaggi scorra per mutamenti di identità attraverso rapide svolte psicologiche dove da un personaggio ne può venire fuori un altro (chiara influenza pirandelliana questa).
Tra le opere più famose di Eduardo si ricordano: Filumena Marturano; L'Abito Nuovo; Natale in casa Cupiello; Napoli Milionaria; Il sindaco del rione Sanità.
Il calore e l'ironia emanato dalle opere di De Filippo lo hanno reso famoso in tutto il mondo.
Altro attore famoso in tutto il mondo è il principe Antonio De Curtis, in arte: Totò.
Attore, commediografo, paroliere, poeta e sceneggiatore, il talento straordinario di quest'uomo viene riconosciuto solo dopo la sua morte.
Totò infatti non fu subito ben compreso dai critici e tutti credono di conoscere la sua arte perché i film gli hanno dato visibilità. Non si riflette però sul fatto che Totò passo al cinema solo negli anni Cinquanta, venendo prima da una lunghissima esperienza teatrale.
E' lo stesso attore a raccontare nella sua biografia, scritta dal critico Alessandro Ferrati, intitolata "Siamo Uomini o Caporali ?" del suo avvicinamento al teatro, avvenuto grazie ad un impresario, tale Pasqualino, che lo chiamò al Teatro Nuovo di Napoli, tempio dell'arte partenopea dell'epoca, per esibirsi.
Per Totò il teatro era come un tempio sacro ed ogni volta che passava di fronte ad un palcoscenico si toglieva il cappello dalla testa in segno di saluto ossequioso.
Da buon saltimbanco egli riuscì a modellare artificialmente il proprio corpo fino a renderlo perfettamente gestuale con un equilibrato gioco di mimica facciale. Una vera e propria maschera visiva.
Dal 1925 al 1929, Totò si esibì nei "Caffè Concerto" ed in seguito seguì la compagnia del teatro stabile di Molinari in alcune tourneé teatrali nazionali.
Dal 1932 si fece Capocomico di alcune compagnie di Avanspettacolo organizzate per raggiungere il pubblico cinematografico e teatrale.
A partire dagli anni Quaranta passò all'Avanspettacolo delle Riviste, portando in scena solo 12 spettacoli.
Passò al cinema negli anni Cinquanta e lì trovò ciò che in teatro non gli veniva offerto, ovvero la possibilità di fare l'attore protagonista con registi di grande spessore (ad esempio Steno e Monicelli, De Sica, Rossellini e tanti altri).
L'attore ha concluso la sua vita in condizioni di quasi cecità a causa di una grave forma di corioretinite aggravata dalla lunga esposizione alle luci della scena.
Ridurre il discorso su Totò e De Filippo a poche righe non è molto corretto ma non si poteva fare altrimenti o si sarebbe arrivati a non finire più il post.
Quello che possiamo scrivere di certo in conclusione è che il Teatro a partire dal 1936 cerca una propria stabilità (grazie ai sovvenzionamenti statali) ed una propria autonomia pur sperimentando sempre diverse fasi nuove e rivoluzionarie.
Tanti sono stati i protagonisti dei diversi settori (in questo post ne abbiamo citati solo alcuni tra migliaia) che hanno permesso che si arrivasse ad un rinnovamento delle scene e soprattutto dagli anni '30 in poi si fa avanti un nuovo concetto di Regia ed il ruolo di regista assume anche chiave critica rispetto agli inizi.
Al momento concludiamo così, con tanta carne messa a fuoco comunque, mentre il prossimo mese continueremo il discorso sul teatro moderno e contemporaneo prendendo in esame il periodo che va dagli inizi degli anni '60 fino ad arrivare ai primi anni '80.
FONTI ED IMMAGINI:
Oscar G. Brockett, Storia del Teatro vol. 2, Edizioni Saggi Marsili.
Andrea Camilleri, I Teatri Stabili in Italia 1898-1918, editore Cappelli, Bologna 1960.
F. Cruciani e C. Faletti, Civiltà teatrale nel XX secolo, edizione Il Mulino 1986.
R. Alonge, Il teatro dei Registi, edizioni Laterza 2006.
C. Meldolesi, Tra Totò e Gadda: sei invenzioni sprecate del teatro italiano, editore Bulzoni 1987.
Appunti sparsi del corso tenuto dal professore Longhi per le lezioni di Istituzioni di Regia tenute presso l'Università di Bologna (corso di laurea D.a.m.s) nel 2008.
http://www.luchinovisconti.net/visconti_al/teatro_cechov_visconti.html
Se dalla fine dell'Ottocento arrivano i primi segnali di insofferenza nei confronti di un modo vecchio di pensare e di agire nei vari campi artistici, adesso invece, con gli inizi del Novecento, il teatro si vuole nuovo ed agisce (grazie anche ai numerosi personaggi di cui abbiamo descritto in precedenza, come ad esempio Eleonora Duse e Luigi Pirandello) affinché questo cambiamento avvenga presto.
Nel teatro del nuovo secolo si sono viste: la nascita di nuove figure artistiche e culturali (come quella del regista); la ricerca di nuovi spazi drammaturgici; lo stravolgere e il rinnovare la drammaturgia dei testi (ad esempio Pirandello e il suo Metateatro); nuovi ruoli e nuovo agire dell'attore sul palcoscenico; nuove filosofie generali applicate poi ad un contesto che si è pian piano delineato sempre più nel tempo.
E' un secolo, quello del Novecento, attraversato da guerre e rivoluzioni che hanno segnato non solo il mondo in generale ma anche le arti e tutto ciò che lo circondava e per tale ragione, gli uomini e le donne che hanno agito in questo periodo si sentirono in dovere di riformare e trasformare tutto quello che passava loro sotto mano.
Sperimentazione, Estremismo e Dissacrazione sono ora le nuove parole d'ordine.
Muoiono le vecchie compagnie del capocomicato, quelle costruite da famiglie, e nascono figure professionali diverse oltre che teatri liberi e sovvenzionati dallo Stato (quindi anche la politica inizia a giocare un ruolo differente all'interno del mondo culturale teatrale; ricordate nel post precedente la figura di Silvio D'Amico e la sua Accademia d'Arte Drammatica nella capitale italiana ? quello è uno dei tanti esempi in tal senso).
Dopo il breve riassunto introduttivo veniamo ora al Teatro Italiano a partire dal 1936.
Ricordo prima però velocemente, come già fatto nel post precedente, che si prende in esame al momento solo il teatro di casa nostra perché ampliare il discorso anche al resto del mondo diventerebbe lungo e complesso; ciò non significa però che non vengano, seppur sinteticamente, fatti dei brevi confronti o citati degli altri personaggi del resto d'Europa in quanto è anche da lì che arrivano gli influssi del nuovo pensare e del nuovo agire nel settore.
Dal 1936 in poi, scomparse le compagnie che si concentravano solo intorno alla figura del primo attore, si affermarono nuove formazioni che presentavano un repertorio più ristretto (due o tre opere per stagione) dedicando stavolta più attenzione alla qualità del testo e delle produzioni che al suo modo di trasporle sulla scena.
Il discorso viene approfondito e chiarito meglio nel secondo volume del manuale di Storia del Teatro, scritto da Oscar G. Brockett, dove a pagina 606 si legge:
Il complesso dell'attività teatrale continuò a rimanere nelle mani delle compagnie di giro, ma già nell'immediato dopoguerra si costruirono i primi teatri stabili a carattere comunale o regionale, che ottennero particolari sovvenzioni dallo Stato, dal comune, dalla provincia, dalla regione e dagli enti pubblici.
Il più importante di questi gruppi stabili fu Il Piccolo Teatro di Milano, fondato nel 1947 da Giorgio Strehler e Paolo Grassi.
Iniziamo quindi da qui, dalla nascita dei Teatri Stabili e diamo una prima rapida occhiata a questo tema.I Teatri Stabili nascono con la fine della seconda guerra mondiale, quando nel panorama teatrale e letterario nazionale, gli addetti ai lavori, operano affinché lo Stato sostenga il ruolo sociale, educativo e pedagogico del teatro.
La storia degli Stabili si costituisce di due momenti importanti: il primo, che va dal 1946 al 1966 e vede la loro nascita; il secondo periodo, dal 1967 al 1975, dove l'Italia viene attraversata da periodi di violente tensioni politiche e sociali che si ripercuotono anche sul mondo dello spettacolo e sul mondo culturale, mettendo in crisi vari settori e con esso anche il sistema dei Teatri Stabili.
La loro ripresa si avrà in seguito solo a partire dalla fine degli anni '70 grazie a nuove forme di sperimentazione artistica e a nuovi modelli di organizzazione statale, come ad esempio la nascita di cooperative sociali.
Vi furono però in passato, anche stavolta tra la fine dell'Ottocento e gli inizi del Novecento, dei primi tentativi di costruzione di questa tipologia di teatri, ma quasi tutti ebbero scarsi risultati e fallirono (almeno in questa prima parte di storia).
Testo che viene in aiuto per delineare una prima fase storica dei Teatri Stabili in Italia, anche se a molti potrà sembrare strano, è quello scritto da Andrea Camilleri (proprio lui, il papà del Commissario Montalbano; voglio ricordare a chi legge, che prima di diventare famoso come scrittore, Camilleri è stato per lunghissimo tempo nel mondo del teatro e dello spettacolo ricoprendo svariati ruoli) ed intitolato appunto: Teatri Stabili 1898-1918.
Pubblicato nel 1960, il libro mostra venti anni di storia teatrale italiana e dopo una spiegazione introduttiva ben documentata, sfogliano tra le pagine si arriva alla seconda parte del testo dove, secondo lo scrittore, la storia dei due primi tentativi di creazione di Stabili (prima ancora di Strehler e Grassi) è avvenuta con Domenico Lanza e il "Teatro d'Arte" di Torino ed ancora con Ermete Novelli, a Roma, con la creazione della "Casa di Goldoni" (ispirata al modello francese la Maison Moliere), entrambi i risultati però furono vani e non se ne concluse nulla.
Se Camilleri pone l'attenzione su una prima fase storica dei Teatri Stabili italiani, noi invece, come visto poco sopra nella citazione del manuale del Brockett, sappiamo che è con Strehler e Grassi che si ha il primo vero riuscito tentativo di Stabile italiano.
Vediamo quindi ora la storia del Piccolo Teatro di Milano.
Fondato nel 1947 da Giorgio Strehler (1921-1997) e Paolo Grassi (1919-1981) venne sovvenzionato dal comune di Milano che mise a disposizione del gruppo una sala teatrale, senza chiedere alcun affitto e successivamente offrirono loro anche delle sovvenzioni statali.
Strehler ha curato la regia di circa tre quarti delle produzioni del Piccolo (invitando anche famosi registi stranieri a dirigere gli allestimenti) ed ispirandosi soprattutto alle tecniche brechtiane (di Brecht potete vedere il post alla voce "Biografie-Teatro" nella colonna di fianco tra le Etichette).
Tra le sue produzioni, giusto per citarne solo alcune, le più famose sono: Arlecchino servitore di due padroni (1947); Trilogia della villeggiatura (1954); El nost Milan (di Carlo Bertolazzi, 1955).
Grazie a Strehler si aprì in Italia il ruolo della Regia Critica ed il Piccolo Teatro con le sue tourneé estere è diventato famoso anche a livello internazionale.
Teatri Stabili e sovvenzioni quindi quelli che prendono piede a partire dal 1936 in poi e che permettono di conseguenza di dare risalto anche ad una nuova ed ulteriore figura moderna nata proprio con il nuovo secolo e che ha acquisito sempre più potere e visibilità: la figura del Regista.
Ricordiamo che anche se il ruolo del regista, o meglio il termine Regia/Regista, nasce a partire dagli anni '30 del Novecento, in realtà la loro figura è sempre esistita in particolare ogni volta che si è dato corpo ad una esperienza performativa visiva.
Per avere un discorso più chiaro occorre guardare al saggio del professor Claudio Meldolesi, che si ritrova all'interno del libro "Civiltà teatrale nel XX secolo", scritto da Fabrizio Cruciani.
Da pagina 283 fino a pagina 304, Meldolesi, individua e cita quelli che sono stati i ponti per formare la regia in Italia e sofferma la sua attenzione in particolare su tre punti, che descrive più come tre livelli:
1 livello - Regia Stilistica;
2 livello - Regia a spettacolo unico;
3 livello - Regia Critica.
La Regia Critica è quella che vede il regista smontare il testo ed analizzarlo per rivisitarlo in maniera più attuale e riportarlo in chiave moderna sulla scena.
Domanda fondamentale che si pone il regista ora e che deve trasmettere al pubblico è : Cosa quell'opera ci dice a noi oggi ?
Il discorso sulla Regia Critica è molto lungo, anche perché in Italia è stato un processo che si è avviato con lentezza e che si è prolungato nel tempo; a noi basta sapere che ora, il Teatro del secondo Novecento non vede più il Testo come il centro della scena ma adesso tutto viene dato in mano a questa figura chiave, il Regista, che deve essere sì in grado di creare rifacendosi al testo ma deve essere anche in grado di allontanarsi da esso puntando più su una propria rappresentazione personale che sia lucida, analitica e rivisitata in chiave attuale.
Il regista insomma deve diventare creatore ed imporre il proprio modo di leggere il testo teatrale.
Due furono, secondo il parere di diversi studiosi di storia del teatro, i registi italiani che conquistarono la fama internazionale a partire dal 1936 in poi: Luchino Visconti e Franco Zeffirelli.
Nato a Milano da una famiglia di nobili origini, Luchino Visconti è considerato il primo padre di quello che sarà il futuro Neorealismo italiano (insieme poi a Rossellini e De Sica).
Appassionato fin da ragazzo di musica lirica, iniziò ad occuparsi di arte a partire dagli anni '30 e nel 1936 divenne assistente alla regia cinematografica, a Parigi, del regista Jean Renoir.
Rientrato in Italia dopo la morte della madre e trasferitosi a Roma, Visconti ha saputo approfittare del clima creatosi nel secondo dopoguerra, dopo la caduta del fascismo, di quella voglia di rinnovare le scene italiane ed è stato così in grado di aprirsi al teatro e a nuovi impegni artistici e culturali rinnovando e fondando un nuovo modo di fare la Regia in Italia.
La sua prima regia teatrale avviene con l'opera del francese Jean Cocteau, intitolata "Parenti Terribili", nel gennaio del 1945 al teatro Eliseo di Roma.
Da quella regia in poi, il suo rapporto con il teatro divenne di puro amore e tante sono state le opere portate sulla scena in qualità di regista, soprattutto opere di un certo spessore culturale (Cocteau, Cechov, Miller e tanti altri ancora) che portavano lo spettatore a distaccarsi dai classici testi borghesi e ad entrare in contatto con testi dalle tematiche più realistiche e concrete.
Anche con Visconti nasce la Regia Critica e la figura del regista diventa quella di un vero professionista.
Al fianco di Luchino Visconti e della sua regia critica, si trova un altro personaggio importante nel panorama culturale italiano dell'epoca: Franco Zeffirelli.
Infanzia difficile, con un padre che non lo ha mai riconosciuto ed una madre morta quando era ancora molto giovane, Zeffirelli ha frequentato l'Accademia di Belle Arti di Firenze ed è stato scenografo subito dopo la guerra.
Il suo esordio come regista, sia teatrale che cinematografico, lo ha a partire dagli anni Cinquanta, influenzato soprattutto dal mondo shakespeariano tanto che tra le sue produzioni più famose rimangono: Romeo e Giulietta (in teatro all'Old Vic); Amleto (rappresentato dalla sua compagnia a Roma); Molto rumore per nulla (al National Theatre di Londra).
L'attenzione di Zeffirelli in qualità di regista (influenzato comunque dal fatto di essere stato prima scenografo) si è sempre concentrata intorno all'elemento spettacolare e solo dopo è andato ad osservare l'interiorità del testo in sé e del personaggio sulla scena.
Riassumendo fino ad ora il discorso sul teatro moderno e contemporaneo dal 1936 in poi si può tentare di fare (anche se probabilmente brutto a vedersi) una sorta di schema che racchiude in tre parole quanto visto fino ad ora:
1- Nascita dei Teatri Stabili;
2- Il Piccolo di Milano (primo teatro Stabile sovvenzionato) e la figura di Strehler;
3- La Regia Critica in Italia (nascita e sviluppo).
Ultimo argomento (almeno per quanto concerne il post di oggi) da andare a visionare è quello che riguarda la figura dell'attore contemporaneo.
Se la Regia infatti rappresenta la possibilità di farsi ascoltare dal pubblico attraverso un testo scritto, l'Attore è ovviamente il mezzo espressivo attraverso cui attuare il meccanismo.
Poiché i personaggi dei testi sono esseri immateriali, di fantasia, occorre qualcuno che dia loro vita sulle scene. Quindi per molti registi è importante che esista la figura dell'attore.
Se tra la fine dell'Ottocento e gli inizi del Novecento tutto ruotava intorno a loro ora è invece il regista a guidarli ed istruirli dando loro la giusta via interpretativa.
Nel teatro che si è sviluppato a partire dal 1936 in poi, figure di attori fondamentali sono tantissime e quindi citeremo qui solo due di quei nomi (altrimenti per elencarli tutti ci vorrebbe un anno intero come minimo).
Tra tutti questi nomi, quelli che compaiono più di frequente in molti manuali di storia del teatro sono: Eduardo De Filippo (1900-1984) e Totò (1898-1967).
Figlio naturale di Eduardo Scarpetta, De Filippo, viene considerato uno dei migliori attori italiani del Novecento.
Ha lavorato a lungo con i fratelli Peppino e Titina e con loro formò una compagnia teatrale tra il 1932 e il 1945, dove alla sua attività di attore e regista accompagnò anche quella di autore drammatico.
Molte delle sue opere affondano le radici nella realtà napoletana e sono scritte in dialetto, nonostante ciò però le situazioni affrontate nei testi possono benissimo assumere tratti universali.
Altro testo che viene in aiuto per chiarire sia la figura di Eduardo che quella di Totò è quello intitolato "Tra Totò e Gadda: Sei invenzioni sprecate del Teatro Italiano", scritto sempre da Claudio Meldolesi, dove ad un tratto si legge:
Eduardo viene presentato come prima cosa come un attore simile agli altri che riuscì a costruire un suo modo di creazione passando attraverso l'intimità dell'attore e del personaggio, dove la vita quotidiana degli umili e dei piccolo-borghesi napoletani risaltava nitidamente.
L'attore-autore Eduardo, sul piano drammaturgico mostrò il bisogno di aprirsi all'influenza di Pirandello...
Meldolesi vede in Eduardo due tipi di relazione: una di natura drammaturgica; l'altra di natura artistica.
Sempre secondo quanto detto sopra, Eduardo, venne influenzato da Luigi Pirandello (che incontrò a Napoli nel 1933). In effetti, osservando attentamente le opere di De Filippo si nota come il tempo dei personaggi scorra per mutamenti di identità attraverso rapide svolte psicologiche dove da un personaggio ne può venire fuori un altro (chiara influenza pirandelliana questa).
Tra le opere più famose di Eduardo si ricordano: Filumena Marturano; L'Abito Nuovo; Natale in casa Cupiello; Napoli Milionaria; Il sindaco del rione Sanità.
Il calore e l'ironia emanato dalle opere di De Filippo lo hanno reso famoso in tutto il mondo.
Altro attore famoso in tutto il mondo è il principe Antonio De Curtis, in arte: Totò.
Attore, commediografo, paroliere, poeta e sceneggiatore, il talento straordinario di quest'uomo viene riconosciuto solo dopo la sua morte.
Totò infatti non fu subito ben compreso dai critici e tutti credono di conoscere la sua arte perché i film gli hanno dato visibilità. Non si riflette però sul fatto che Totò passo al cinema solo negli anni Cinquanta, venendo prima da una lunghissima esperienza teatrale.
E' lo stesso attore a raccontare nella sua biografia, scritta dal critico Alessandro Ferrati, intitolata "Siamo Uomini o Caporali ?" del suo avvicinamento al teatro, avvenuto grazie ad un impresario, tale Pasqualino, che lo chiamò al Teatro Nuovo di Napoli, tempio dell'arte partenopea dell'epoca, per esibirsi.
Per Totò il teatro era come un tempio sacro ed ogni volta che passava di fronte ad un palcoscenico si toglieva il cappello dalla testa in segno di saluto ossequioso.
Da buon saltimbanco egli riuscì a modellare artificialmente il proprio corpo fino a renderlo perfettamente gestuale con un equilibrato gioco di mimica facciale. Una vera e propria maschera visiva.
Dal 1925 al 1929, Totò si esibì nei "Caffè Concerto" ed in seguito seguì la compagnia del teatro stabile di Molinari in alcune tourneé teatrali nazionali.
Dal 1932 si fece Capocomico di alcune compagnie di Avanspettacolo organizzate per raggiungere il pubblico cinematografico e teatrale.
A partire dagli anni Quaranta passò all'Avanspettacolo delle Riviste, portando in scena solo 12 spettacoli.
Passò al cinema negli anni Cinquanta e lì trovò ciò che in teatro non gli veniva offerto, ovvero la possibilità di fare l'attore protagonista con registi di grande spessore (ad esempio Steno e Monicelli, De Sica, Rossellini e tanti altri).
L'attore ha concluso la sua vita in condizioni di quasi cecità a causa di una grave forma di corioretinite aggravata dalla lunga esposizione alle luci della scena.
Ridurre il discorso su Totò e De Filippo a poche righe non è molto corretto ma non si poteva fare altrimenti o si sarebbe arrivati a non finire più il post.
Quello che possiamo scrivere di certo in conclusione è che il Teatro a partire dal 1936 cerca una propria stabilità (grazie ai sovvenzionamenti statali) ed una propria autonomia pur sperimentando sempre diverse fasi nuove e rivoluzionarie.
Tanti sono stati i protagonisti dei diversi settori (in questo post ne abbiamo citati solo alcuni tra migliaia) che hanno permesso che si arrivasse ad un rinnovamento delle scene e soprattutto dagli anni '30 in poi si fa avanti un nuovo concetto di Regia ed il ruolo di regista assume anche chiave critica rispetto agli inizi.
Al momento concludiamo così, con tanta carne messa a fuoco comunque, mentre il prossimo mese continueremo il discorso sul teatro moderno e contemporaneo prendendo in esame il periodo che va dagli inizi degli anni '60 fino ad arrivare ai primi anni '80.
FONTI ED IMMAGINI:
Oscar G. Brockett, Storia del Teatro vol. 2, Edizioni Saggi Marsili.
Andrea Camilleri, I Teatri Stabili in Italia 1898-1918, editore Cappelli, Bologna 1960.
F. Cruciani e C. Faletti, Civiltà teatrale nel XX secolo, edizione Il Mulino 1986.
R. Alonge, Il teatro dei Registi, edizioni Laterza 2006.
C. Meldolesi, Tra Totò e Gadda: sei invenzioni sprecate del teatro italiano, editore Bulzoni 1987.
Appunti sparsi del corso tenuto dal professore Longhi per le lezioni di Istituzioni di Regia tenute presso l'Università di Bologna (corso di laurea D.a.m.s) nel 2008.
http://www.luchinovisconti.net/visconti_al/teatro_cechov_visconti.html
giovedì 10 ottobre 2013
Premio Nobel 2013 per la Letteratura alla scrittrice canadese Alice Munro.
Ogni anno di tutti i premi Nobel che assegnano alle varie categorie, quello che attendo con maggiore interesse (forse a causa degli studi umanistici compiuti) è quello che riguarda la categoria Letteratura.
Ed ecco che circa un oretta fa, girando sulla rete, finalmente arriva il nome tanto atteso: Alice Munro.
Nata in Canada nel 1931, questa scrittrice così singolare alla veneranda età di 82 anni diventa la tredicesima donna a cui viene assegnato un premio di così grande prestigio (l'Accademia le consegnerà infatti circa 8 milioni di corone, una vera e propria grossa somma di denaro).
Ma chi è Alice Munro ? Perché è caduta su di lei questa scelta.
Vediamo (sotto la foto) la sua biografia per chiarire meglio le cose.
ALICE MUNRO:
Canadese, figlia dell'agricoltore Robert Laidlaw e di una insegnante di scuola, inizia a scrivere storie fin da adolescente e nel 1950 frequenta l'università dell'Ontario (Canada) dove per mantenersi svolge diversi lavori come cameriera prima e come bibliotecaria poi.
Nel 1951 lascia l'università per sposare James Munro e trasferirsi con lui a Vancouver. Insieme avranno 4 figlie (di cui una morta durante il parto).
La prima raccolta di racconti di Alice Munro si intitola "La danza delle ombre felici" scritta ed edita nel 1968 che fu subito un gran successo tanto da ottenere il premio Governor General's.
Nel 1971 seguì "Lives of Girls and Women" e subito dopo il divorzio dal marito James.
Alice ritorna nell'Ontario e diviene "Writer in Residence" presso l'università.
Nel 1976 si risposa, stavolta con il geografo Gerald Fremlin.
Nel 1978 esce la raccolta di novelle "Chi ti credi di essere" e per la seconda volta vince il premio Governor General's Literary.
Dagli anni 80 in poi la Munro scrive numerose novelle e collabora con riviste come The New Yorker e The Paris Review.
Nel 2012 annuncia il suo ritiro.
In Italia viene pubblicata e tradotta soprattutto da Einaudi (ad esempio, tra i tanti, storie come "Nemico, amico, amante" del 2003; "In fuga" anno 2004; Segreti svelati nel 2008; Le Lune di Giove sempre 2008).
CONCLUSIONE:
Considerata come la regina dei racconti, Alice Munro è stata definita come la "Cechov" canadese.
Le sue sono storie di personaggi e di ambienti particolari che vengono posti ad una sorta di attento esame psicologico da parte della scrittrice e che mostrano una vera e propria profonda introspezione.
Anche se l'ambientazione è quella per lo più delle città canadesi in cui la Munro ha vissuto, queste storie pare possano ricollocarsi benissimo a chiunque in qualunque parte del mondo visti i temi in essi trattati, come ad esempio i problemi degli adolescenti (soprattutto delle donne) e il loro rapporto con le famiglie di origine e la società che li circonda.
La Munro è considerata a giusto titolo una vera e propria maestra della narrazione e questo premio Nobel lo ha veramente meritato.
Fonti ed Immagini:
http://it.wikipedia.org/wiki/Alice_Munro
http://www.npr.org/2012/11/15/164359136/munro-weighs-the-twists-and-turns-of-this-dear-life
http://www.corriere.it/cultura/13_ottobre_10/nobel-la-letteratura-alice-munro-90039fd4-319b-11e3-ab72-585440a4731e.shtml
http://cultura.panorama.it/libri/Alice-Munroe-cinque-libri
Ed ecco che circa un oretta fa, girando sulla rete, finalmente arriva il nome tanto atteso: Alice Munro.
Nata in Canada nel 1931, questa scrittrice così singolare alla veneranda età di 82 anni diventa la tredicesima donna a cui viene assegnato un premio di così grande prestigio (l'Accademia le consegnerà infatti circa 8 milioni di corone, una vera e propria grossa somma di denaro).
Ma chi è Alice Munro ? Perché è caduta su di lei questa scelta.
Vediamo (sotto la foto) la sua biografia per chiarire meglio le cose.
ALICE MUNRO:
Canadese, figlia dell'agricoltore Robert Laidlaw e di una insegnante di scuola, inizia a scrivere storie fin da adolescente e nel 1950 frequenta l'università dell'Ontario (Canada) dove per mantenersi svolge diversi lavori come cameriera prima e come bibliotecaria poi.
Nel 1951 lascia l'università per sposare James Munro e trasferirsi con lui a Vancouver. Insieme avranno 4 figlie (di cui una morta durante il parto).
La prima raccolta di racconti di Alice Munro si intitola "La danza delle ombre felici" scritta ed edita nel 1968 che fu subito un gran successo tanto da ottenere il premio Governor General's.
Nel 1971 seguì "Lives of Girls and Women" e subito dopo il divorzio dal marito James.
Alice ritorna nell'Ontario e diviene "Writer in Residence" presso l'università.
Nel 1976 si risposa, stavolta con il geografo Gerald Fremlin.
Nel 1978 esce la raccolta di novelle "Chi ti credi di essere" e per la seconda volta vince il premio Governor General's Literary.
Dagli anni 80 in poi la Munro scrive numerose novelle e collabora con riviste come The New Yorker e The Paris Review.
Nel 2012 annuncia il suo ritiro.
In Italia viene pubblicata e tradotta soprattutto da Einaudi (ad esempio, tra i tanti, storie come "Nemico, amico, amante" del 2003; "In fuga" anno 2004; Segreti svelati nel 2008; Le Lune di Giove sempre 2008).
CONCLUSIONE:
Considerata come la regina dei racconti, Alice Munro è stata definita come la "Cechov" canadese.
Le sue sono storie di personaggi e di ambienti particolari che vengono posti ad una sorta di attento esame psicologico da parte della scrittrice e che mostrano una vera e propria profonda introspezione.
Anche se l'ambientazione è quella per lo più delle città canadesi in cui la Munro ha vissuto, queste storie pare possano ricollocarsi benissimo a chiunque in qualunque parte del mondo visti i temi in essi trattati, come ad esempio i problemi degli adolescenti (soprattutto delle donne) e il loro rapporto con le famiglie di origine e la società che li circonda.
La Munro è considerata a giusto titolo una vera e propria maestra della narrazione e questo premio Nobel lo ha veramente meritato.
Fonti ed Immagini:
http://it.wikipedia.org/wiki/Alice_Munro
http://www.npr.org/2012/11/15/164359136/munro-weighs-the-twists-and-turns-of-this-dear-life
http://www.corriere.it/cultura/13_ottobre_10/nobel-la-letteratura-alice-munro-90039fd4-319b-11e3-ab72-585440a4731e.shtml
http://cultura.panorama.it/libri/Alice-Munroe-cinque-libri
I Serial Killer. il volto segreto degli assassini seriali. Il Libro di Mastronardi e De Luca.
Da Dexter a Criminal Minds, negli ultimi dieci anni, le figure degli assassini seriali (traduzione di Serial Killer per gli americani) hanno sempre più attratto l'attenzione del pubblico televisivo (in Italia basta pensare all'audience elevato che certi programmi hanno acquistano sempre più, fino ad accaparrarsi la messa in onda in prima serata, occupandosi di tematiche sul genere).
Affascinati da storie macabre da una parte ed inorriditi dall'altra non vi è dubbio che le figure di questi personaggi attirano l'attenzione anche delle persone più comuni.
Nella nostra patria italiana, esistono numerosi psicologi e criminologi che si sono occupati di svelare al pubblico il vero volto di questi assassini e tra questi quelli che hanno attirato la mia attenzione sono stati: Vincenzo Maria Mastronardi e Ruben De Luca.
I due hanno infatti pubblicato insieme un libro, un volumone di 894 pagine circa, edito dalla Newton Compton Editori (lo trovate nella collana I grandi tascabili contemporanei, nella sezione di saggistica) dal titolo "I serial Killer. Il volto segreto degli assassini seriali".
Rispondendo a domande del tipo: Chi sono e cosa pensano gli assassini seriali ? Come e perché uccidono ? E' possibile una riabilitazione ? i due autori vogliono mostrare al lettore tutta la loro conoscenza in questo settore.
In questo libro (diciamoci la verità non è un romanzo per curiosi ma è invece un vero e proprio saggio scientifico che si compone persino di schede tecniche che mostrano e analizzano i casi più clamorosi), gli autori illustrano un mondo, fortunatamente, ai più ignoto.
Diviso in due grandi parti, come lo stesso Mastronardi rivela a pagina 11, nella prima sono riportate brani di diari, lettere ed interviste; mentre la seconda parte esamina i crimini compiuti e approfondisce il tema analizzando un campione di 2230 assassini provenienti da tutto il mondo.
Leggendo il libro ho trovato interessante scoprire inoltre che esistono centri specifici come il GORISC (Gruppo Osservativo di Ricerca, Intervento e Studio sul Crimine) ed il CEPIC (Centro Europeo di Psicologia, Investigazione e Criminologia) o ancora che sono presenti l'ESKIDAB (Banca Dati Europea sugli assassini seriali) o il WOSKIDAB (Banca Dati Mondiale sugli assassini seriali).
Fino a quando, passata la lunga e dovuta spiegazione introduttiva (da pagina 1 a pagina 15) non ci si ritrova finalmente di fronte alla prima parte del testo (intitolato Temi Generali) e al primo capitolo dal significativo titolo: Chi è il serial killer. Storia dell'omicidio seriale e definizioni.
Non proseguo oltre perché altrimenti rischio di svelare troppe cose e di non invogliarvi più a leggerlo. Sappiate solo che il volume vuole essere, come scritto nel trafiletto sul retro, un indispensabile strumento operativo per psicologi, criminologi, avvocati, investigatori, magistrati e per tutte quelle persone che entrano in qualche maniera in contatto con questi tipi di crimine (scrittori e autori) o semplicemente per chi è curioso di conoscere l'universo dei "mostri del nostro tempo" (definizione scritta sempre sul retro del testo).
Inoltre a scriverlo sono state due persone che sono da anni nel settore.
Vincenzo Maria Mastronardi è infatti psichiatra, criminologo clinico e professore di psicopatologia forense presso l'università di Roma (oltre tutta una lunga serie di altri importanti ruoli ricoperti che troverete nella sua biografia, anche da internet se cercate) e lo stesso discorso vale per l'altro autore del testo, Ruben De Luca, anche lui psicologo, criminologo e collaboratore con l'Osservatorio dei comportamenti e della devianza presso la facoltà di Medicina e dell'università di Roma "La Sapienza".
Insomma un libro che sicuramente merita di essere visionato con la dovuta attenzione critica.
Affascinati da storie macabre da una parte ed inorriditi dall'altra non vi è dubbio che le figure di questi personaggi attirano l'attenzione anche delle persone più comuni.
Nella nostra patria italiana, esistono numerosi psicologi e criminologi che si sono occupati di svelare al pubblico il vero volto di questi assassini e tra questi quelli che hanno attirato la mia attenzione sono stati: Vincenzo Maria Mastronardi e Ruben De Luca.
I due hanno infatti pubblicato insieme un libro, un volumone di 894 pagine circa, edito dalla Newton Compton Editori (lo trovate nella collana I grandi tascabili contemporanei, nella sezione di saggistica) dal titolo "I serial Killer. Il volto segreto degli assassini seriali".
Rispondendo a domande del tipo: Chi sono e cosa pensano gli assassini seriali ? Come e perché uccidono ? E' possibile una riabilitazione ? i due autori vogliono mostrare al lettore tutta la loro conoscenza in questo settore.
In questo libro (diciamoci la verità non è un romanzo per curiosi ma è invece un vero e proprio saggio scientifico che si compone persino di schede tecniche che mostrano e analizzano i casi più clamorosi), gli autori illustrano un mondo, fortunatamente, ai più ignoto.
Diviso in due grandi parti, come lo stesso Mastronardi rivela a pagina 11, nella prima sono riportate brani di diari, lettere ed interviste; mentre la seconda parte esamina i crimini compiuti e approfondisce il tema analizzando un campione di 2230 assassini provenienti da tutto il mondo.
Leggendo il libro ho trovato interessante scoprire inoltre che esistono centri specifici come il GORISC (Gruppo Osservativo di Ricerca, Intervento e Studio sul Crimine) ed il CEPIC (Centro Europeo di Psicologia, Investigazione e Criminologia) o ancora che sono presenti l'ESKIDAB (Banca Dati Europea sugli assassini seriali) o il WOSKIDAB (Banca Dati Mondiale sugli assassini seriali).
Fino a quando, passata la lunga e dovuta spiegazione introduttiva (da pagina 1 a pagina 15) non ci si ritrova finalmente di fronte alla prima parte del testo (intitolato Temi Generali) e al primo capitolo dal significativo titolo: Chi è il serial killer. Storia dell'omicidio seriale e definizioni.
Non proseguo oltre perché altrimenti rischio di svelare troppe cose e di non invogliarvi più a leggerlo. Sappiate solo che il volume vuole essere, come scritto nel trafiletto sul retro, un indispensabile strumento operativo per psicologi, criminologi, avvocati, investigatori, magistrati e per tutte quelle persone che entrano in qualche maniera in contatto con questi tipi di crimine (scrittori e autori) o semplicemente per chi è curioso di conoscere l'universo dei "mostri del nostro tempo" (definizione scritta sempre sul retro del testo).
Inoltre a scriverlo sono state due persone che sono da anni nel settore.
Vincenzo Maria Mastronardi è infatti psichiatra, criminologo clinico e professore di psicopatologia forense presso l'università di Roma (oltre tutta una lunga serie di altri importanti ruoli ricoperti che troverete nella sua biografia, anche da internet se cercate) e lo stesso discorso vale per l'altro autore del testo, Ruben De Luca, anche lui psicologo, criminologo e collaboratore con l'Osservatorio dei comportamenti e della devianza presso la facoltà di Medicina e dell'università di Roma "La Sapienza".
Insomma un libro che sicuramente merita di essere visionato con la dovuta attenzione critica.
lunedì 7 ottobre 2013
Frittata Vegetariana con Farina di Ceci
Ho tralasciato per poco il blog perché ero in Sicilia a festeggiare un compleanno importante (quello di mio padre) e quando sono rientrata nuovamente a casa (qui in Emilia-Romagna) ho ripreso i contatti con gli amici e di conseguenza i pranzi e le cene con loro.
Durante una di queste occasioni, insieme ad una amica, spulciando tra le pagine di internet ci siamo ritrovate a tirar giù la ricetta della "Frittata Vegetariana di Farina di Ceci" che abbiamo ovviamente voluto provare subito.
Il risultato è stato soddisfacente e così ho deciso di riproporla anche ai lettori del blog.
Come avrete capito dal titolo, essendo una ricetta vegetariana non abbiamo usato uova ma bensì verdure e la farina di ceci che una volta lavorata e cucinata ha assunto la forma precisa (ovviamente non il sapore che risulta differente) ed il colore di una frittata.
Vediamo quali sono gli ingredienti e come si prepara.
Noi eravamo in 4 e quindi le nostre dosi si rifanno per questo numero di persone.
INGREDIENTI:
200 gr. di Farina di Ceci; 1 zucchina; mezza cipolla; mezzo cucchiaino di curcuma; Olio; Sale; Acqua.
PREPARAZIONE:
Lavate e tagliate le zucchine a rondelle, poi tritate la cipolla ed infine inserite tutto in una padella a soffriggere.
Intanto in un recipiente, mescolate la farina di ceci con un bicchiere di acqua, un pizzico di curcuma (se non l'avete potete usare anche altre spezie) e un pizzico di sale, fino ad ottenere un composto morbido tipo pastella.
Non appena le verdure vi sembrano cotte (in genere ci vogliono pochi minuti) aggiungete anche la pastella ottenuta con la Farina di Ceci ed espandete un attimo con un cucchiaio di legno in modo da allargare a tutte le verdure e all'intera padella.
Fate cuocere per circa 5 minuti per ogni lato e alla fine quando sarà cotta potrete servire.
Vi assicuro che a noi è venuta (almeno nella nostra versione riadattata, perché nell'originale vi andavano anche i fiori di zucca che noi in quel momento non avevamo in casa) veramente buona e possiamo dichiarare che il nostro esperimento è riuscito senza avvelenare nessuno anzi qualcuno si è lamentato che era pure poca.
Sotto l'immagine troverete la fonte ufficiale a cui ci siamo rifatte, nel caso in cui vogliate seguire anche la loro versione.
Buon appetito e Buon proseguimento di giornata.
Fonte:
http://www.greenme.it/mangiare/vegetariano-a-vegano/5335-ricette-vegan-frittata-con-le-zucchine
Durante una di queste occasioni, insieme ad una amica, spulciando tra le pagine di internet ci siamo ritrovate a tirar giù la ricetta della "Frittata Vegetariana di Farina di Ceci" che abbiamo ovviamente voluto provare subito.
Il risultato è stato soddisfacente e così ho deciso di riproporla anche ai lettori del blog.
Come avrete capito dal titolo, essendo una ricetta vegetariana non abbiamo usato uova ma bensì verdure e la farina di ceci che una volta lavorata e cucinata ha assunto la forma precisa (ovviamente non il sapore che risulta differente) ed il colore di una frittata.
Vediamo quali sono gli ingredienti e come si prepara.
Noi eravamo in 4 e quindi le nostre dosi si rifanno per questo numero di persone.
INGREDIENTI:
200 gr. di Farina di Ceci; 1 zucchina; mezza cipolla; mezzo cucchiaino di curcuma; Olio; Sale; Acqua.
PREPARAZIONE:
Lavate e tagliate le zucchine a rondelle, poi tritate la cipolla ed infine inserite tutto in una padella a soffriggere.
Intanto in un recipiente, mescolate la farina di ceci con un bicchiere di acqua, un pizzico di curcuma (se non l'avete potete usare anche altre spezie) e un pizzico di sale, fino ad ottenere un composto morbido tipo pastella.
Non appena le verdure vi sembrano cotte (in genere ci vogliono pochi minuti) aggiungete anche la pastella ottenuta con la Farina di Ceci ed espandete un attimo con un cucchiaio di legno in modo da allargare a tutte le verdure e all'intera padella.
Fate cuocere per circa 5 minuti per ogni lato e alla fine quando sarà cotta potrete servire.
Vi assicuro che a noi è venuta (almeno nella nostra versione riadattata, perché nell'originale vi andavano anche i fiori di zucca che noi in quel momento non avevamo in casa) veramente buona e possiamo dichiarare che il nostro esperimento è riuscito senza avvelenare nessuno anzi qualcuno si è lamentato che era pure poca.
Sotto l'immagine troverete la fonte ufficiale a cui ci siamo rifatte, nel caso in cui vogliate seguire anche la loro versione.
Buon appetito e Buon proseguimento di giornata.
Fonte:
http://www.greenme.it/mangiare/vegetariano-a-vegano/5335-ricette-vegan-frittata-con-le-zucchine
Addio a Giuliano Gemma il gringo dal cuore d'oro.
Si sono svolti oggi a Roma i funerali dell'attore Giuliano Gemma, morto all'età di 75 anni in seguito ad un grave incidente stradale avuto il primo di Ottobre.
Famoso volto dei film western, Gemma è stato, nonostante l'aria da duro assunta in certi ruoli, un vero e proprio gentleman dello spettacolo italiano e quindi mi pare doveroso dedicargli una breve biografia con il post di oggi.
GIULIANO GEMMA:
Nato a Roma il 2 Settembre del 1938, debutta al cinema giovanissimo (prima di compiere venti anni) inizialmente come stuntman ed in seguito invece, notato e chiamato da Dino Risi per una piccola apparizione nel film "Venezia la luna e tu".
Non tanto tempo dopo, Gemma, viene notato e contattato anche dal regista statunitense William Wyler, che lo scrittura per il ruolo di un centurione in quello che è un film capolavoro della cinematografia (vincitore di ben 11 premi Oscar): Ben-Hur.
Nel 1959, svolge il servizio di leva presso i vigili del fuoco e allo stesso tempo conosce e stringe amicizia con il famoso pugile Nino Benvenuti.
Grazie al suo ruolo di centurione in Ben-Hur, Gemma, viene visto e cercato anche da altri registi che lo vogliono a lavorare con loro; in particolare Duccio Tessari che gli affida il ruolo del biondissimo Krios in "Arrivano i Titani" (il regista lo vorrà anche protagonista nel 1969 del film western "Vivi o preferibilmente morti" in cui si ritrova a recitare accanto al suo amico pugile Nino Benvenuti).
Arrivano in seguito altri ruoli, quale quello di un generale garibaldino nel film di Visconti "Il Gattopardo", oppure il tenebroso ribelle in "Angelica" (ciclo famoso di film degli anni '60, con la bella attrice protagonista Michèle Mercier).
A partire dalla seconda metà degli anni '60, Gemma, accresce la sua fama grazie all'interpretazione di una serie di film di genere western in cui diventa protagonista.
Nel 1964, infatti, diventa Ringo in tutta una serie di film, ad esempio: Una pistola per Ringo; Il ritorno di Ringo; Adiòs gringo.
In alcuni di questi film, i produttori gli affidarono lo pseudonimo di Montgomery Wood.
Gemma ha prestato inoltre il proprio volto a uno dei più noti personaggi proveniente dal mondo dei fumetti: Tex Willer.
Nel 1973 recita al fianco di Bud Spencer nel simpatico film "Anche gli angeli mangiano fagioli" e ritorna poi in coppia con Ricky Bruch (attore e atleta svedese) in "Anche gli angeli tirano di destro".
A partire dalla seconda metà degli anni '70, Gemma cambia genere di film e si dedica anche al cinema impegnato e a ruoli più drammatici.
Nel 1976, infatti, compare nel capolavoro del regista e sceneggiatore Valerio Zurlini, il film "Il deserto dei Tartari" che non solo sarà una delle prove migliori di Gemma, ma gli varrà anche un premio David di Donatello nel 1977.
A partire dagli anni '80 si è visto in film come "Speriamo che sia femmina" di Mario Monicelli ma ha soprattutto lavorato in produzioni televisive.
Dopo il David di Donatello, altri premi ricevuti dall'attore sono: il Premio De Sica (1983 ma vinto per ben tre volte); il Nastro D'argento alla carriera (2008) e Il Globo d'oro (2008).
Giuliano Gemma ha partecipato, come protagonista oppure no, ad oltre ben cento film e sempre ha portato il suo sorriso solare, la sua professionalità e la sua gentilezza sul set ai colleghi che con lui hanno lavorato e che oggi sono accorsi numerosi ai funerali.
Famoso volto dei film western, Gemma è stato, nonostante l'aria da duro assunta in certi ruoli, un vero e proprio gentleman dello spettacolo italiano e quindi mi pare doveroso dedicargli una breve biografia con il post di oggi.
GIULIANO GEMMA:
Nato a Roma il 2 Settembre del 1938, debutta al cinema giovanissimo (prima di compiere venti anni) inizialmente come stuntman ed in seguito invece, notato e chiamato da Dino Risi per una piccola apparizione nel film "Venezia la luna e tu".
Non tanto tempo dopo, Gemma, viene notato e contattato anche dal regista statunitense William Wyler, che lo scrittura per il ruolo di un centurione in quello che è un film capolavoro della cinematografia (vincitore di ben 11 premi Oscar): Ben-Hur.
Nel 1959, svolge il servizio di leva presso i vigili del fuoco e allo stesso tempo conosce e stringe amicizia con il famoso pugile Nino Benvenuti.
Grazie al suo ruolo di centurione in Ben-Hur, Gemma, viene visto e cercato anche da altri registi che lo vogliono a lavorare con loro; in particolare Duccio Tessari che gli affida il ruolo del biondissimo Krios in "Arrivano i Titani" (il regista lo vorrà anche protagonista nel 1969 del film western "Vivi o preferibilmente morti" in cui si ritrova a recitare accanto al suo amico pugile Nino Benvenuti).
Arrivano in seguito altri ruoli, quale quello di un generale garibaldino nel film di Visconti "Il Gattopardo", oppure il tenebroso ribelle in "Angelica" (ciclo famoso di film degli anni '60, con la bella attrice protagonista Michèle Mercier).
A partire dalla seconda metà degli anni '60, Gemma, accresce la sua fama grazie all'interpretazione di una serie di film di genere western in cui diventa protagonista.
Nel 1964, infatti, diventa Ringo in tutta una serie di film, ad esempio: Una pistola per Ringo; Il ritorno di Ringo; Adiòs gringo.
In alcuni di questi film, i produttori gli affidarono lo pseudonimo di Montgomery Wood.
Gemma ha prestato inoltre il proprio volto a uno dei più noti personaggi proveniente dal mondo dei fumetti: Tex Willer.
Nel 1973 recita al fianco di Bud Spencer nel simpatico film "Anche gli angeli mangiano fagioli" e ritorna poi in coppia con Ricky Bruch (attore e atleta svedese) in "Anche gli angeli tirano di destro".
A partire dalla seconda metà degli anni '70, Gemma cambia genere di film e si dedica anche al cinema impegnato e a ruoli più drammatici.
Nel 1976, infatti, compare nel capolavoro del regista e sceneggiatore Valerio Zurlini, il film "Il deserto dei Tartari" che non solo sarà una delle prove migliori di Gemma, ma gli varrà anche un premio David di Donatello nel 1977.
A partire dagli anni '80 si è visto in film come "Speriamo che sia femmina" di Mario Monicelli ma ha soprattutto lavorato in produzioni televisive.
Dopo il David di Donatello, altri premi ricevuti dall'attore sono: il Premio De Sica (1983 ma vinto per ben tre volte); il Nastro D'argento alla carriera (2008) e Il Globo d'oro (2008).
Giuliano Gemma ha partecipato, come protagonista oppure no, ad oltre ben cento film e sempre ha portato il suo sorriso solare, la sua professionalità e la sua gentilezza sul set ai colleghi che con lui hanno lavorato e che oggi sono accorsi numerosi ai funerali.
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