Tra i tanti regali natalizi ricevuti c'è ne stato uno in particolare, un libro, che ho appena finito di leggere ma di cui sinceramente non ho ancora capito se scriverne bene oppure no.
Parlo (da come si sarà sicuramente compreso dall'immagine di copertina) del romanzo della giovane scrittrice Silvia Avallone, dal titolo: Acciaio.
La scrittrice (nata a Biella nel 1984, laureata in filosofia a Bologna dove tutt'ora vive e lavora)
ha esordito proprio con questo romanzo (edito da Rizzoli) nel 2010, arrivando seconda al premio Strega e vincendo ulteriori premi in svariate città italiane, oltre che all'estero (romanzo tradotto anche in Olanda, in Francia, in Germania, in Spagna, in Giappone).
Velocemente ne ricopio la trama:
Nei casermoni di via Stalingrado a Piombino avere quattordici anni è difficile.
E se tuo padre è un buono a nulla o si spezza la schiena nelle acciaierie che danno pane e disperazione a mezza città, il massimo che puoi desiderare è una serata al pattinodromo, o avere un fratello che comandi il branco, o trovare il tuo nome scritto su una panchina.
Lo sanno bene Anna e Francesca, amiche inseparabili che tra quelle case popolari si sono trovate e scelte.
Quando il corpo adolescente inizia a cambiare, a esplodere sotto i vestiti, in un posto così non hai alternative: o ti nascondi e resti tagliata fuori, oppure sbatti in faccia agli altri la tua bellezza, la usi con violenza e speri che ti aiuti a essere qualcuno. Loro ci provano, convinte che per sopravvivere basti lottare, ma la vita è feroce e non si piega, scorre immobile senza vie d’uscita.
Poi un giorno arriva l’amore, però arriva male, le poche certezze vanno in frantumi e anche l’amicizia invincibile tra Anna e Francesca si incrina, sanguina, comincia a far male.
Il trafiletto di introduzione del libro della Rizzoli conclude cosi':
Attraverso gli occhi di due ragazzine che diventano grandi, Silvia Avallone ci racconta un’Italia in cerca d’identità e di voce, apre uno squarcio su un’inedita periferia operaia nel tempo in cui, si dice, la classe operaia non esiste più.
Lo fa con un romanzo potente, che sorprende e non si dimentica.
Questo ovviamente è il giudizio della propria casa editrice che pur di vendere il libro lo descrive come un romanzo "potente" (mi chiedo cosa intendano loro con questa frase), che sorprende e non si dimentica (anche su quest'ultima dichiarazione viene da ridire).
A mio avviso invece, il romanzo (definito a torto o a ragione, non spetta a me dirlo, di formazione) alterna stati in cui o volti pagine in un fiato o lo trovi lento, insomma è una andatura altalenante che o ti tiene sveglio o ti fa assopire.
I personaggi sono definiti chiaramente per quanto riguarda la loro fisicità ma esprimono poco e in maniera confusa lo stato emotivo, come ad esempio le protagoniste, Francesca e Anna, due adolescenti (come è stato pero' fatto notare su Sololibri.net, non è un libro per ragazzine, sopratutto non un libro alla Federico Moccia) che sfruttano la loro bellezza per farsi avanti nella società e nella pesante realtà in cui vivono.
Il romanzo l'ho trovato confusionario proprio perchè al suo interno la scrittrice ha inserito troppi argomenti in una volta sola; si mescolano cosi' temi come: adolescenza, droga, violenze familiari, loschi voyer, l'amore, l'amicizia, le malattie, la crisi del lavoro, furti di rame, truffe, la classe operaia, l'odore della morte e delle acciaierie, i night club ....... si potrebbe continuare all'infinito ma è meglio porre un punto qui o si corre il rischio di non proseguire.
Tanti inoltre gli errori, gli anacronismi, presenti lungo le pagine e giustamente notati da un lettore e critico attento sul sito Libriblog.com, in cui scrive:
Almeno un minimo di rispetto per il lettore.
Acciaio è ambientato nel 2001/2002.
Bene.
La Porsche Cayenne è del 2003; su una panchina c’è scritto “3msc”, famoso libro di Moccia che (pur essendo stato pubblicato nel 1992) rimase del tutto sconosciuto fino al 2004, anno in cui Feltrinelli lo ripubblico'.
Queste sono solo alcune incongruenze di questo polpettone banale, concentrato di commercialità.
In conclusione posso solo dire che in una frase del grande scrittore del passato, Oscar Wilde, puo' essere racchiuso anche la critica per questo romanzo; Wilde scrisse infatti: Che se ne parli bene o che se ne parli male, l'importante è far parlare di sè.
cara BiBi. Non ho letto il libro e sinceramente non mi viene affatto voglia di leggerlo. Mi sembra di capire che si tratti di un libro piuttosto superficiale, un libro "facile" perchè usa posizioni abbastana scontate e facenti parte del senso comune del cosiddetto "uomo della strada". dalle tue parole emerge l'immagine di un libro che si limita ad un ritratto di una situazione (per quanto drammatica) decisamente priva di spessore. Personalmente quando mi accosto ad un libro lo faccio con il desiderio di imparare qualcosa di più della mia umanità,cerco di trovare dinamiche e atteggiamenti che siano umani,anche se a volte non del tutto condivisibili. si capisce quello che intendo?...ti consiglio un libro,quello che credo sia in assoluto il libro più bello che ho letto. in comune con "acciaio", credo che abbia la descrizione di ambienti del tutto poveri, degradati, in cui l'uomo può riuscire a toccare i livelli più bassi e infimi. ma questa descrizione non è sterile perchè fa emergere qualcosa di più. è un romanzo. si chiama "corpi e anime" di Maxence Van Der Meersch. Mi piacerebbe parlarne con te un giorno
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