Iniziamo

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martedì 15 novembre 2011

La sfida d'Amalia



Il libro letto questa settimana e' quello scritto da David J. Kertzer ed intitolato "La sfida d'Amalia".

Kertzer (classe 1948) è professore di antropologia e storia presso la Brown University di Providence, oltre che specialista e appassionato di Storia Italiana, passione che lo ha spinto ed aiutato nel suo scrivere questo romanzo-saggio cosi' commovente.

La trama è questa:

Siamo nella Bologna di fine '800 ed Amalia Bagnacavalli, giovane contadina nata e cresciuta a Vergato, un paesino dell’Appennino, per far fronte alle ristrettezze in cui versa la famiglia, decide di prendere a balia un orfanello dall’Ospedale degli esposti.
Il viaggio nella città segna l’inizio delle sue vicissitudini: dalla bambina che le assegnano infatti contrae la sifilide, della quale faranno le spese anche il marito e la figlia minore.
Invece di rassegnarsi all’ingiustizia, Amalia si rivolge ad Augusto Barbieri, un giovane e ambizioso avvocato, che accetta di intentare causa al potentissimo corpo amministrativo centrale degli ospedali di Bologna e al suo presidente, il conte Isolani.
Un’avventura pericolosa che porterà la giovane contadina a fare i conti con un mondo più grande di lei e con la disonestà degli uomini, mentre la malattia divora il suo corpo e la sua famiglia >>.

Il romanzo di Kertzer è il risultato di ricerche svolte presso gli istituti accreditati che mette in mostra una società di fine Ottocento, trent'anni dopo l'Unità d'Italia, in una nazione ancora arretrata ma pronta a quella trasformazione radicale che avverrà con l'avvento del nuovo secolo: il Novecento.
E' Kertzer stesso che confessa la sua passione per la ricerca, soprattutto quella svolta sul campo:

Recarmi a Vergato per scoprire se i registri parrocchiali del XIX secolo erano ancora reperibili….
è stata una sorta di piacevole avventura….Fortunatamente [i registri] c’erano e abbiamo potuto vedere tutte le registrazioni, operate dal parroco per le famiglie di Amalia e Luigi, compresa quella che aveva fatto poco prima della Pasqua del 1890, quando visitò la famiglia Migliorini e registrò la presenza di un’esposta di nome Paola Olivelli.
Questa vicenda, che vede protagonista questa giovane contadina analfabeta dell’Appennino che osa chiamare a processo una potente istituzione della città (e con essa un noto aristocratico con chiara fama di benefattore), affascina perchè mette in mostra la lotta di una donna in una società in cui ancora i diritti alle donne non erano presenti.
Buona parte dell’opera è incentrata sui problemi dell’istruzione, del servizio sanitario e, mentre sono denunciati i privilegi delle classi ricche, è auspicata la nascita di una società moderna piu' giusta.

Significativo nel libro è inoltre l’excursus storico sui Brefotrofi, espressione di un contesto nel quale tutta la colpa della nascita illegittima era scaricata sulla donna, salvi casi di comprovata violenza sessuale.
Nel secolo XIX essi erano diffusi in larga parte d’Europa, ma il loro Paese d’origine era stato l’Italia.
A Bologna il primo brefotrofio venne aperto nel 1400, come estensione di un monastero benedettino preesistente, che accoglieva già da due secoli i piccoli abbandonati.
Nel 1600 le autorità ecclesiastiche davano ordini a funzionari locali e parroci affinché individuassero le donne nubili in stato di gravidanza e ne registrassero il nome presso il cosiddetto Ospizio degli Esposti: le donne non sposate non potevano tenere con sé i figli poiché questo era ritenuto, nello Stato Pontificio, un oltraggio alla moralità pubblica.
Con la proclamazione dell’Unità d’Italia, nel 1861, l’Ospizio degli Esposti venne sottoposto all’autorità del Corpo amministrativo centrale degli ospedali.
In questo modo l’Ospizio divenne un’istituzione pubblica, finanziata coi proventi di un’imposta gravante su tutta la provincia di Bologna.
Questi bambini erano sottratti alle madri e posti alle cure di donne disposte a far loro da nutrici.
Con il venir meno dello Stato Pontificio era certo scomparso il prelievo coatto dei neonati, ma restava l’onta del figlio illegittimo; sull’Appennino c’erano numerose famiglie che avevano cura di tali bambini abbandonati.
Non solo, ma era anche costume tenere questi bambini (almeno fino a 15 anni) in campagna, dove almeno avrebbero imparato a lavorare.

Tra una città moderna e potente come la Bologna di inizio Novecento e i paesi contadini e arretrati intorno ad essa, questa storia merita di essere letta per avere una nozione piu' chiara della Storia del nostro Paese vista con gli occhi di uno storico che appassiona.

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